Intervistato da La Gazzetta dello Sport, Giuseppe Mascara torna su alcuni aspetti in particolare che hanno riguardato la sua carriera di calciatore, con spunti di riflessione legati al calcio di oggi e confessando il sogno di allenare in Serie A. Ecco quanto evidenziato:
“Il gol a Palermo da quasi 50 metri nel 2009? Sarei un bugiardo se dicessi che avevo visto il portiere fuori dai pali e che avevo calcolato di tirare così. Calciai d’istinto, senza pensarci, e venne fuori una parabola impressionante. Zenga mi disse che soltanto un pazzo come me poteva tentare certi colpi. Quando giocavo, volevo divertirmi. Sapevo che se mi fossi divertito io, si sarebbero divertiti i tifosi della mia squadra, anche se sulla fascia dovevo correre per gli equilibri tattici”.
“Mihajlovic? Grande spessore. Burbero fuori, buono dentro. Alla fine dell’allenamento del venerdì ci sfidavamo sulle punizioni. Lui era un fenomeno, ma ogni tanto mi faceva vincere per tenermi su di morale. Durante la sua malattia ci siamo scambiati tanti messaggi. Il Catania di Simeone? Aveva qualcosa in più nelle motivazioni”.
“Oggi non ci sono più i giocatori alla Mascara? Perchè siamo passati dal calcio degli uno contro uno al calcio dei ‘dai e vai’, dei triangoli. Il problema è alla radice, nelle scuole calcio formano dei giocatori robotizzati, si privilegiano i più robusti e le giocate sono preordinate“.
“Bisogna catturare l’attenzione dei ragazzi, convincerli a togliere lo sguardo dai telefonini. Sono sempre lì a guardare i social. Noi queste distrazioni non le avevamo. Il mio sogno? Ritornare a San Siro, da allenatore di Serie A. Il mio modulo è il 4-3-3 che ho imparato da Zeman e da Pasquale Marino. Io sono per un calcio verticale, diretto, senza troppi passaggi”.
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