Oggi l’ex attaccante del Catania Gianvito Plasmati gestisce un albergo a quattro stelle a Matera. Segue il calcio ma non vi rientrerebbe mai per una precisa scelta. “Quello di oggi non è più il pallone per come lo intendevamo noi… è diventato un’altra cosa. Vedo e sento tante situazioni gestite male, da gente che di calcio non capisce nulla. Spesso da persone che non hanno mai visto una partita… E quando me le raccontano penso, «che fortuna che ho a non starci in mezzo»”, le sue parole a La Gazzetta dello Sport.
Spazio ai ricordi di Plasmati in maglia rossazzurra: “Catania è una seconda casa. Per me a livello calcistico è stata la tappa più importante. Ma poi la gente è fantastica. Per strada ti fanno sentire come fossi la punta del Real Madrid… Conservo tanti ricordi bellissimi. Vedi il primo gol in Serie A. Ho realizzato il sogno di quando ero bambino. Dove poi? A San Siro contro l’Inter di Mourinho. E due settimane dopo, segno alla Juve. Un sogno. Entrambi i gol di testa? Per anni sono stato tra i giocatori più alti del campionato, supero infatti i due metri. Quei due li ho fatti di testa, svettando su Materazzi e Burdisso con l’Inter e su Chiellini a Torino. Che ricordi. C’è da dire che ho segnato relativamente poco di testa… se solo avessi avuto compagni che mettevano cross migliori (ride)…”.
“La città, la squadra, la salvezza. Tutto bellissimo. E io a Catania non sono mai retrocesso. Eravamo un grande gruppo, con gli argentini e Beppe Mascara a inventare. Lui era fortissimo, uno di quelli che avrebbe meritato ben altra carriera per il talento che aveva. A quale allenatore dico grazie? Ne ho avuti tanti, da Zenga che per me è stato fondamentale, a Del Neri all’Atalanta. In generale non ho nomi da fare. Però ci tengo a spendere un pensiero. Negli ultimi sei mesi a Catania ero in rotta con la società e l’allenatore era Mihajlovic. Io mi allenavo con i compagni, ma la domenica non giocavo. Lui mi è stato sempre vicino. Te ne potrei dire tantissime su Sinisa, ma c’è un ricordo particolare che vorrei condividere. Mi piaceva un profumo che lui aveva e glielo dicevo spesso per scherzare. Così mi disse: ‘se ci salviamo ti dico il nome e te lo regalo’. Ci siamo salvati, ma complice anche la mia causa con il Catania non c’è stata occasione per darmelo. Qualche settimana fa mi è arrivato. Me lo ha spedito il figlio Dusan, a cui avevo raccontato questa storia”.
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