“Sarei deluso se non arrivassimo nei primi 3-4 posti della classifica”. Parole rilasciate poco tempo fa ai microfoni di Telecolor dal vice presidente Vincenzo Grella. Parole che stonano rispetto ad una realtà che vede il Catania ben lontano dall’alta classifica. Il tredicesimo posto dopo 10 gare di campionato, frutto di 12 punti conquistati con il secondo peggiore attacco del girone dopo il Giugliano (9 reti per la squadra rossazzurra contro le 6 dei campani), fotografa il momento sempre più delicato in casa rossazzurra. I risultati non arrivano, il ruolino di marcia è assai deludente.
I tifosi, ripartiti dalla D con grande entusiasmo dominando il torneo (cosa comunque non scontata), si aspettavano un impatto ben diverso con la C. Chiaramente con il salto di categoria il livello tecnico si alza, il coefficiente di difficoltà aumenta. Rinnovando in maniera profonda l’organico ci sono tempi fisiologici per porre le basi, amalgamare e cementificare un gruppo. Ma sono già trascorsi circa due mesi dall’inizio del campionato e le difficoltà persistono. La tappa di Caserta è stata, fin qui, la massima espressione sul piano del risultato e della prestazione inserendo ingredienti ben assortiti: qualità, organizzazione tattica, cinismo, personalità, spirito di sacrificio e sana cattiveria agonistica.
Poteva essere la partita della svolta, invece il Catania ha registrato una progressiva involuzione nelle gare successive. Poca brillantezza e reattività, infortuni in costante aumento, mancanza di lucidità e tanta confusione tattica. Una squadra andata via via spegnendosi, capace solo a sprazzi di accendersi con alcune individualità, Chiricò in primis (quasi esclusivamente). Troppo poco quanto sinora espresso. I calciatori non sono sereni, giocate ampiamente prevedibili, poca decisione sui contrasti.
Domenica anche l’Avellino è passato al “Massimino”, che tradizionalmente rappresenta la roccaforte rossazzurra. Oggi, invece, Catania è diventata terra di conquista e poco importa che in 16/17 mila gremiscano gli spalti se, poi, la squadra non rende come dovrebbe. Gli irpini hanno tratto vantaggio da una condizione psicologica sensibilmente migliore e, sul campo, da una precisa identità che il tecnico Pazienza ha saputo costruire, incidendo in misura significativa nella testa dei giocatori e individuando le giuste chiavi tattiche per svoltare. La forza di un collettivo che applica le idee del proprio allenatore con intelligenza e determinazione, massimizzando le prestazioni individuali fino a formare un gruppo solido e compatto.
Ecco, la sensazione chiara e lampante è che a Catania tutto questo non accada. Serve un episodio che dia la scossa alla squadra e, ai tifosi, restituisca la gioia di andare allo stadio con la fierezza di sostenere un gruppo che rappresenti in modo degno e consapevole il contesto Catania. E serve fare chiarezza sulle responsabilità e gli obiettivi reali da perseguire perché, oggi, questo Catania preoccupa molto per la sua regressione e fatica a riemergere.
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