EX ROSSAZZURRI – Pizzul: “Catania, il mio talento inversamente proporzionale alla passione dei catanesi”

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Bruno Pizzul, storica voce del calcio italiano ed ex giocatore rossazzurro negli anni ’60, torna sui suoi trascorsi ai piedi dell’Etna attraverso alcune dichiarazioni rilasciate al quotidiano L’Avvenire: “Il mio talento era inversamente proporzionale alla passione con cui sono stato accolto dai catanesi ai quali, oggi posso dirlo con un pizzico di sincero rammarico, ho dato molto meno di quel tanto da loro ricevuto”. Da Catania risalì, sempre per ragioni calcistiche, sbarcando in un’altra isola, quella di Ischia. Poi il ritorno a Catania ma un infortunio pose fine alla carriera calcistica e con l’approdo a Milano iniziò quella giornalistica, che non avrebbe mai immaginato di fare.

Anche qualche anno fa, ai microfoni di Telecolor, a proposito dell’esperienza etnea Pizzul ebbe modo di sottolineare come Catania gli fosse rimasta nel cuore: “Ho vissuto benissimo per due anni e mezzo con gente fantastica. E’ stato tutto molto bello. La squadra vanta una tradizione. C’è tutto lì. Il mare, la montagna, non manca proprio niente. Per forza di cose il Catania deve riemergere ai massimi livelli, contribuendo anche alla valorizzazione di un territorio ricco di storia e bellezza”.

Prima ancora, nel 2017, a Repubblica: “Catania è una città straordinaria, posizionata in una delle zone più belle del mediterraneo: con l’Etna alle spalle e il mare davanti. A quei tempi veniva chiamata la Milano del sud: vivace e sempre piena di iniziative. Indossai la maglia rossoazzurra per due anni, dal ‘58 al ‘60 sotto la guida del mister Carmelo Di Bella. La reazione dei miei genitori quando andai in Sicilia? Mia mamma non voleva, si mise a piangere. Mio padre mi disse: ‘vai, così ti togli dalle sottane di tua madre che altrimenti non ti farà crescere’. Mi spingeva a partire perché il Catania mi dava vitto e alloggio e un piccolo stipendio. Guadagnavo intorno alle 300 mila lire al mese. Non ti arricchivi ma si poteva sopravvivere dignitosamente. E poi il compenso cambiava in base all’anzianità e a quante volte giocavi. Ricordo ancora Candido Cannavò, giovane cronista siciliano che, quando entrava nello spogliatoio e ci sentiva parlare con il nostro idioma, incomprensibile, ci diceva: «Minchia, siamo stati invasi da tutti: punici, cartaginesi, romani, greci e adesso ci sono anche questi barbari che parlano con questo linguaggio incomprensibile». Era sempre divertente. Studiavo legge. Le trasferte al nord erano lunghissime così preparavo gli esami sul treno. Bisognava soltanto avere la voglia e la costanza. E spesso si trovava anche il tempo per fare un tuffo al mare. Andavo a Capo Mulini. Una volta assieme a due compagni di squadra, Morelli e Michelotti, ci fregarono i portafogli in macchina. Dopo qualche ora restituirono tutto alla sede del Catania con tanto di scuse”.

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