Avventura giunta al capolinea. E’ finita, proprio quando sembrava che qualche spiraglio si stesse aprendo con il sostegno economico di alcuni sponsor nel tentativo di estendere la durata dell’esercizio provvisorio e, quindi, permettere al Catania di completare la stagione. Invece no. Il Tribunale fallimentare ha staccato la spina ai rossazzurri. Evidentemente non c’erano tempi tecnici e strumenti giuridici tali da consentire di mantenere la provvisorietà dell’esercizio, anche se qualche perplessità rimane. La FIGC non ha potuto fare altro che revocare l’affiliazione al Calcio Catania spa e svincolare d’ufficio tutti i tesserati.
Il nostro primo pensiero va a dipendenti, lavoratori del comparto tecnico, amministrativo e sportivo, calciatori, dirigenti che in condizioni di grande difficoltà ed a fronte di sacrifici personali hanno messo a disposizione le loro professionalità al servizio di una società fantasma. Una società dichiarata fallita a dicembre, tenuta in vita nella speranza che soggetti imprenditoriali seri ed affidabili acquisissero il ramo calcistico aziendale ponendo le basi per una ripartenza. Speranze del Catania affidate a Benedetto Mancini, il cui curriculum non rappresentava di certo un bel biglietto da visita. Non c’è da stupirsi se il Tribunale – stanco dei continui rinvii, delle promesse di pagamento e della disponibilità di bonifici “a singhiozzo” dell’imprenditore romano – ha annunciato la decadenza della trattativa.
Al di là dei “tiri Mancini”, però, ha sorpreso il silenzio dell’imprenditoria locale in questi mesi, a parte qualche appello isolato. Quasi come ad attendere passivamente la fine della corsa. Facendo prevalere la logica del business perchè “tanto ripartire dai Dilettanti costa meno”. Capiamo il rischio d’impresa, la crisi dell’industria del pallone e di molte attività imprenditoriali. Capiamo che Catania occupa il 102/esimo posto per qualità della vita in Italia (fonte Il Sole 24 Ore). Capiamo tutto, nessuno però – a parte Mancini – si è fatto avanti per salvaguardare il calcio professionistico in quella che è pur sempre la settima città metropolitana per numero di abitanti nel nostro Paese.
Tanti sono i protagonisti in negativo di questa vicenda. A cominciare da Antonino Pulvirenti, colui che ha fatto vivere anni di intense emozioni al Catania in Serie A ma è stato anche capace di farlo crollare e di portarlo sull’orlo del fallimento producendo debiti su debiti con il contributo di Pablo Cosentino, prima, e di Pietro Lo Monaco, dopo. Fallimento inizialmente scongiurato dagli oltre venti soci di Sigi, accolti da salvatori della patria e salutati come carnefici del Calcio Catania. Su di loro – ad eccezione di qualche socio che ha fatto correttamente la sua parte – pesa anche la responsabilità di avere gestito nel peggiore dei modi la trattativa con Joe Tacopina, perdendo tanti lunghi mesi inutilmente. Senza predisporre alcun piano alternativo.
All’avvocato italo-americano, il primo cittadino etneo ha persino consegnato l’Elefantino d’argento, riconoscimento importante che la città offre come simbolo a chi ha fatto tanto per Catania. Dopo mesi di passerelle, selfie e strette di mano ci si è resi conto che la strada fosse in realtà senza via d’uscita. L’intervento della “fata turchese” tanto cara a Gaetano Nicolosi non è bastato. Interlocuzioni con inglesi, maltesi, arabi, sceicchi e chi più ne ha più ne metta hanno completato uno scenario desolante. Reso ancora peggiore dall’evolversi dell’operazione Mancini, condita di belle parole e progetti entusiasmanti rimasti come volevasi dimostrare inattuabili. Tutto questo nell’indifferenza generale di chi avrebbe potuto fare qualcosa per salvare il Catania e, colpevolmente, non ha mosso un dito. Compresa la politica locale che, in compenso, ha pensato bene di spalancare le porte al sig. Mancini con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti.
E che dire di FIGC, Lega Pro e Covisoc? Sono ben precise le responsabilità di chi si trincera dietro le norme attuate per affrontare l’emergenza Covid, venendo in soccorso dei club. I vertici della Lega, con in testa il Presidente Ghirelli, sostengono che i paletti stiano stati meno rigidi del solito all’atto dell’iscrizione e, per via dell’impatto della pandemia, il Catania ne abbia “approfittato”. Risposta poco convincente. Si poteva evitare il caos generato non perfezionando l’iscrizione del Catania al campionato. Il fatto che i rossazzurri siano stati estromessi dal torneo quando mancavano quattro partite da giocare, rappresenta un’altra grave falla del sistema. Cancellando al fotofinish i sacrifici di un intero gruppo di lavoro ed annullando i punti conseguiti sul campo contro il Catania da squadre che, adesso, si ritrovano con una classifica stravolta. Falsando inevitabilmente il campionato. Un bel pastrocchio all’italiana che testimonia l’inneficienza del sistema e certifica la crisi a tutti i livelli del nostro calcio. Che dovrebbe ripartire anch’esso da zero.
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