Ieri abbiamo riportato le dichiarazioni di Roberto De Zerbi e Paolo Bianco, bloccati in Ucraina a seguito della guerra. Adesso spazio alle parole di un altro ex rossazzurro operativo nello staff dello Shakhtar Donetsk, Davide Possanzini, ai microfoni di Repubblica:
“Perché non siamo andati via prima? L’ambasciata ce lo ripeteva, ma la Federazione ucraina non aveva ancora sospeso il campionato, una cosa da pazzi. Lo ha fatto soltanto giovedì mattina. Ma ormai era tardi. Eravamo tornati in Ucraina domenica dopo il ritiro in Turchia, dove avevamo fatto la preparazione per l’inizio del campionato. Avevamo un volo per l’Italia prenotato per giovedì mattina, ma la notte scorsa mentre preparavamo i bagagli abbiamo sentito le sirene. E abbiamo capito. Ora lo spazio aereo è chiuso, non possiamo muoverci e ci siamo rifugiati in questo albergo, di proprietà dello Shakhtar, la nostra squadra”.
“Abbiamo cibo, siamo al riparo, siamo a due minuti di auto dall’ambasciata, che ci ha detto che questa è la migliore soluzione possibile, in attesa di poter capire quando spostarci. Ma si sentono le esplosioni, è normale che in queste condizioni non sei mai davvero al sicuro. Partire in auto? No, saremmo andati a suicidarci. Il confine con la Polonia è a 700 chilometri, il Paese è preso d’assalto da auto che cercano di fuggire, ci sono file di 50 chilometri, la benzina sta finendo: un pieno non ci sarebbe bastato per passare la frontiera. Avremmo corso il rischio di restare bloccati nel freddo”.
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