Oltre 60 apparizioni in casacca rossazzurra con 6 reti all’attivo tra Serie B e C1 entrando nel cuore dei tifosi. L’ex centrocampista Pietro Puzone, che ha indossato anche la maglia del Napoli legando in maniera particolare con il grande Diego Maradona (vincendo scudetto e Coppa Italia), ha attraversato una fase della sua vita molto delicata. Adesso il peggio è passato, come racconta in un’intervista al Corriere del Mezzogiorno:
“Il calcio è la mia vita. È il mio mangiare. In questo momento, dopo un periodo difficile, sto facendo una trasmissione su un’emittente locale che parla del Napoli. Con la vittoria dello scudetto nella stagione 86/87, in quel Napoli di Maradona, avevo toccato il cielo. Poi c’è stato il declino e quando ho smesso di giocare ho perso la bussola. Ho iniziato a prendere a calci la vita. Mi sono lasciato andare, non ascoltavo nessuno, ho avuto problemi di dipendenza, vivevo su una panchina. Solo grazie ai miei concittadini, alla mia famiglia e ai miei ex compagni di squadra, che mi hanno aiutato veramente, mi sono disintossicato”.
“Nei momenti in cui vivevo per strada a cosa pensavo? Che avevo fatto tante cazzate e che Maradona era Maradona ed era in grado di coprire gli sbagli. Io ero Puzone e stavo morendo per le cazzate. Ne abbiamo fatte tante insieme. Chi mi ha aiutato? La mia famiglia e pochi amici. Ho seguito un percorso di riabilitazione in una clinica e mi sono rimesso in piedi. Ora ho smesso di dare calci sia al pallone che alla vita, mi godo gli affetti e ho ricominciato ad assaporare il calcio ma come commentatore”.
“Eravamo giovani, avevamo il mondo in mano. Soldi, donne e tifosi che ti cercavano ovunque per un autografo. Per questo con Diego non potevamo uscire di pomeriggio Dovevamo uscire di notte… Spesso portavo Maradona ad Acerra, gli prestavo anche casa per stare con alcune donne, così poteva stare più tranquillo e lontano da occhi indiscreti. Tutte le bravate le ho raccontate nella mia biografia. Le notti con Diego nelle discoteche e nei ristoranti napoletani. Le corse con la macchina e pure le droghe e i soldi spesi. Una volta, era il 1986, facemmo una vacanza a Roma che ci costò 56 milioni di vecchie lire. Non avevamo più spiccioli neanche per la benzina che ci occorreva per tornare a casa”.
“La morte di Diego come l’ho vissuta? Venivo da un periodo brutto e, dopo la clinica, la notizia che Diego era morto mi ha stroncato. Ero il suo migliore amico degli anni di Napoli, sono stato al suo matrimonio, eravamo come fratelli. Quando volevano mandarmi in prestito a Catania lui non voleva, mi voleva vicino. Eravamo due ragazzi venuti da quartieri difficili, forse per questo eravamo tanto simili”.
“Oggi il calcio è ancora la mia vita, mi occupo anche di osservare qualche ragazzo di Acerra e di presentarlo alle scuole calcio che contano. Acerra è la mia città e i miei concittadini mi sono stati vicini e mi hanno salvato nel momento più buio della mia vita, quando avevo chiuso tutto il mondo fuori. Sono nato nel Rione Gescal, un quartiere popolare, dove tutti mi hanno sempre voluto bene. Nel 1984 avevano addirittura aperto un Napoli Club con il mio nome e io ci portai Maradona che si trattenne con i tifosi del quartiere per un po’. Qui sto bene, c’è la mia famiglia e i miei affetti. Qui sono Pietro Puzone, uno di loro che ce l’aveva fatta, che è caduto e che, grazie anche a loro, si è rialzato”.
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