ESCLUSIVA – Sorrentino: “Mobilitammo una città intera nel 1983. Catania, la storia deve continuare. I giocatori daranno tutto ai Play Off, al di là degli stipendi”

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Roberto Sorrentino

Oggi, a distanza di 37 anni, si ricorda la storica promozione in Serie A del Catania vincendo gli spareggi a Roma. Tra i principali protagonisti di quella splendida cavalcata, il grande Roberto Sorrentino. Abbiamo avuto il piacere di contattare telefonicamente l’ex portiere, parlando di una data storica per i colori rossazzurri. Focus anche su altri argomenti, dal passato di Sorrentino alle attuali vicende di casa Catania.

Roberto, era il 25 giugno 1983 quando Catania festeggiava il ritorno in A. Cosa ricordi di quella stagione?
“Sono ricordi indelebili. Affrontammo una stagione lunga, avevamo una difesa molto difficile da perforare anche se non il miglior attacco. Facevamo pochi gol ma buoni, ne subivamo pochi ed il cerchio si chiuse positivamente. Catania tornò in Serie A dopo tanti anni, avere 40mila spettatori al seguito a Roma fu fuori dal normale. Oltretutto in quel campionato cadetto figuravano squadre come Lazio e Milan che ancor prima d’iniziare la stagione occupavano già i primi posti. Quindi era difficilissimo poter centrare la promozione. L’avvio del campionato non fu esaltante per noi in casa, pareggiando spesso. Poi io feci i conti con un infortunio. Si pensava fosse un problema serio, invece rischiando sulla mia pelle rientrai fortunatamente in tempi brevi. Feci una parata all’incrocio proprio dal lato in cui lo sterno era uscito. Ma andò tutto bene. Incontravamo giocatori forti, importanti, era un campionato tosto. Grande merito a quel gruppo, al mister Di Marzio ed alla tifoseria perchè eravamo sempre 12 uomini in campo. La tifoseria è stata magnifica in tutte le circostanze, fu incredibile l’esodo a Roma ma i 40mila dell’Olimpico erano gli stessi al rientro a Catania. Avevamo mobilitato una città intera. La società fece lo sforzo di prendere un tecnico importante come Di Marzio. Sapevamo di poter disputare un torneo competitivo, consapevoli però della concorrenza di squadroni. Oltre a Milan e Lazio, il Como che era abituato a salire e scendere, la Cremonese di Vialli. C’era la Salernitana, il Foggia. A Siracusa vincemmo 1-0, ricordo che parai anche i sassi che mi tiravano dalla tribuna. Non era un campionato facile ma ce l’abbiamo fatta. Va bene, va benissimo così…”.

Catania fu l’esperienza più significativa della tua carriera?
“Molto significativa ma ricordo anche gli anni trascorsi in Sardegna. Tuttora mi dicono che a Cagliari, dopo Albertosi, c’è stato Sorrentino così come a Catania dopo Vavassori. Eppure la squadra rossazzurra ha avuto portieri del calibro di Petrovic e Rado. Mi inorgoglisce essere considerato tra i migliori a Catania e Cagliari. Poi rimasi un anno fermo per motivi contrattuali, a Bologna ho vissuto due anni splendidi, giocando meno ma mi servirono per far migliorare un portiere giovane e già mentalmente ero propenso a diventare allenatore. Cominciavo ad applicarmi in funzione di questo. Avrei potuto continuare a Bologna ma Gigi Maifredi, andando alla Juve, decise di portare con sè alcuni uomini fidati. Avevo anche un accordo di massima col Pescara, ma dato che non andai alla Juventus da calciatore – sfiorando tale possibilità ai tempi del Catania, con una clausola che prevedeva la cessione alla Juve se non avessi ottenuto la promozione – lo feci dalla porta secondaria con Maifredi, lavorando nello staff tecnico bianconero”.

Non c’è mai stata la reale possibilità di tornare a Catania, quanto ti rammarica questo?
“Sono ormai 30 anni che alleno. Ho girato 5 nazioni. Probabilmente in Italia ho sbagliato a non avere un procuratore ed in qualche public relation. All’estero ho fatto A e B, in Italia fino alla C1, in B con le giovanili del Toro. Le mie soddisfazioni me le sono prese sia nel nostro Paese che fuori. Proprio due giorni fa ho rinunciato ad una proposta dall’estero perchè ormai gli anni purtroppo avanzano e allora, se devo guadagnare giusto qualcosina in più rispetto a quanto percepisco in Italia, il gioco non vale la candela. Meglio allenare vicino casa e famiglia. Adesso valuto un paio di situazioni in Piemonte. Poi se domani mi chiamassero in Lega Pro, torneo di una certa rilevanza, visto che ancora mi dicono che non sono rincoglionito coglierei la palla la balzo. Se fosse il Catania a chiamarmi, tanto meglio. La speranza è sempre l’ultima a morire. Quasi tutti coloro che restano nel cuore dei tifosi prima o poi una chiamata la ricevono, io l’ho sempre attesa ma non è arrivata. Mai dire mai, un pizzico di rammarico ce l’ho. Dicono che le bandiere fanno le fortune delle società, ma non è colpa di nessuno se non è mai capitato di ricevere chiamate dal Catania nonostante il curriculum e tanti ruoli ricoperti a livello dirigenziale. Ho anche ricevuto un’offerta dalla Sardegna, sponda calcio femminile, ma io sinceramente preferisco allenare i bastardi, i fiji de na mignotta (ride, ndr)”.

A proposito di Catania, che idea ti sei fatto della delicata situazione societaria?
“Mi auguro che si risolva al più presto questa situazione, riuscendo a chiudere in un modo o nell’altro la trattativa per la cessione perchè far sparire la matricola 11700 non è bello. Sono fallite tante società importanti. Napoli, Parma e Salernitana per citarne alcune, lo stesso Palermo che con un’ottima organizzazione è risalito in C. Quando si ricomincia dalle categorie inferiori però il trascorso non c’è più, sparirebbe il Catania di una volta. Mi auguro che la matricola possa continuare a scrivere pagine di storia, lo merita la Catania sportiva e la città. Il desiderio, la speranza è che il Catania al più presto torni ai livelli di un tempo. Il Catania deve essere venduto perchè, tecnicamente, c’è l’ipotesi fallimento da non escludere. Incrociamo le dita”.

Pur nelle difficoltà il Catania parteciperà ai Play Off. E’ ancora possibile ribaltare l’esito della stagione?
“Adesso ci sono i Play Off da giocare, non partendo da favoriti e chissà cos’accadrà. Potresti essere sottovalutato, una volta che partecipi per il rotto della cuffia e ti ritrovi con tanti problemi. Inoltre questi sono momenti brutti per tornare in campo. Venendo da 3 mesi di inattività non è facile per nessuno, lo vediamo dalle gare a cui abbiamo assistito finora con squadre che durano 20-25 minuti e gioco molto rallentato. In più non esiste il fattore campo, che per il Catania è sempre stato determinante. Questi sono spareggi anomali. Sono un terno al lotto, peggio del solito. Di certo il Catania prima del lockdown veniva da un periodo importante sul piano del gioco e della mentalità, Lucarelli è un buon allenatore e forse fu un errore mandarlo via anzitempo. Negli ultimi anni non mi è sembrato che il Catania sia partito con il favore del pronostico. Noi in C con Rambone sapevamo di avere una squadra costruita per vincere il campionato. Catania deve avere un organico di primo livello, sempre. Questo in Lega Pro non è successo. Capita il momento di difficoltà, lo capisco, ma vale per chiunque. Comanda il rettangolo verde. Occorre gente giovane, vogliosa, che non si tiri indietro, con fame, che fa del calcio la materia prima. Il calcio ci insegna che l’esperienza è importante ma se non corri fai fatica. Ormai i nomi servono a poco. Se oggi mi chiedi di venire a parare, su dieci tiri ne paro mezzo perchè non sono più il portiere di allora. Catania è una grande piazza e senza fame o voglia non vinci. Nello scorso mercato di gennaio sono stati presi calciatori di categoria e la squadra cominciava ad ingranare. Era preferibile fare sin dall’inizio questo discorso. Anche la girandola di allenatori, cambiando assetto tattico e stile di gioco non va bene. Quando si manda via un allenatore, la colpa è sempre a metà. Purtroppo non sono coincise le idee del mister con gli acquisti fatti, il Catania ha zoppicato e adesso però può rimettere tutto in ballo provando il colpaccio”.

Entro fine giugno potrebbe arrivare il pagamento degli stipendi arretrati. Può essere un incentivo importante per la squadra in ottica Play Off?
“Io ho fatto il calciatore, è normale che si parli di vertenze ma in campo non pensi se ti arrivino i soldi o meno. Quando scendi in campo lo fai per vincere, e basta. Poi, a bocce ferme, dopo la partita magari ne parli ma conta poco secondo me questo aspetto. Conta di più avere un gruppo coeso, che ha voglia di fare bene. Poi magari perdi perchè hai trovato compagini più forti e agguerrite, ma sono convinto che questi ragazzi faranno di tutto per centrare l’obiettivo al di là del mancato pagamento degli stipendi”.

Si ringrazia Roberto Sorrentino per la gentile concessione dell’intervista.

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