Storica bandiera del Catania, Roberto Sorrentino è intervenuto ai microfoni di TuttoCalcioCatania.com per analizzare le difficoltà incontrate dalla squadra rossazzurra in questo campionato, svelando aneddoti che lo hanno riguardato con uno sguardo rivolto anche al suo presente professionale. Molto disponibile come sempre, l’ex portierone del Catania ha indossato anche la casacca della Paganese in carriera.
Roberto, che ne pensi del ritorno di Lucarelli?
“Mio figlio Stefano ha giocato con lui. Qualche anno fa ha fatto bene a Catania. Dispiace per Camplone che è un allenatore bravo, però Catania è una piazza particolare, difficile. Da qualche anno si spera di salire in una categoria più importante ma non ci si riesce. Quindi subentra la delusione. A Catania hai l’obbligo di vincere. In casa con Camplone sembrava una squadra di marziani, poi fuori prendeva delle batoste incredibili. L’amaro in bocca rimane e sono già 11 i punti di distacco dalla vetta”.
E’ impossibile puntare al primato in classifica?
“I giochi sono ancora aperti, poi da quando c’è la regola dei tre punti è meglio perdere una gara e vincerne tre che fare quattro pareggi di fila. Il Catania ha società e blasone alle spalle per potere iniziare un ciclo di partite vincenti. Poi nel calcio ci sono momenti sì e no. La bufera credo stia passando ed il Catania può tornare ad essere protagonista, me lo auguro. Ero convinto che Camplone potesse fare bene, molto probabilmente i giocatori non erano pronti a sposare la sua filosofia di calcio. Era convinto che il suo 4-3-3 potesse produrre i frutti sperati, ma le cose non sono andate per il meglio. Lucarelli adesso proverà a migliorare la situazione. Il tempo c’è. La società deve essere tranquilla ed i giocatori avere una maggiore concentrazione. La tifoseria vuole vincere e capisco il malumore, ma in questo momento i giocatori hanno bisogno che il pubblico stia vicino alla squadra. Perchè gli stessi calciatori sanno che la situazione non è ottimale. Criticare ancora di più significa accentuare il malumore e le difficoltà. Ci vuole il bastone e la carota. Finora i calciatori sono stati bersagliati dalle polemiche. Ora cerchiamo di dargli un pò di fiducia. Il Catania ha bisogno del 12/o uomo in campo. Ci sono stati anche per me a Catania momenti di difficoltà e critiche, ma abbiamo avuto la fortuna di riprenderci subito e di ottenere dei risultati importanti. Che i tifosi diano una mano alla squadra è l’unico elisir che possa tirare su il Catania perchè i giocatori sono bravi, la società c’è. Serve un attimo di riflessione da parte di tutti e sono convinto che poi i risultati arriveranno”.
19 gol subiti con Camplone su 10 partite, adesso Lucarelli focalizza l’attenzione soprattutto sull’efficacia della fase difensiva, giusto così?
“E’ determinante lo sviluppo efficace della fase difensiva. A Catania ho vinto due campionati, nell’anno dello spareggio in 40 partite subimmo solo 17 gol, se non erro. Così hai tanti vantaggi rispetto agli altri. Quell’anno che andammo in A avevamo Cantarutti e Crialesi che andarono in doppia cifra ma non erano bomber dalle 20 reti a campionato. Era però una squadra assemblata bene da Di Marzio, portando alla rete anche i centrocampisti, i difensori. Avere un reparto difensivo importante è una certezza in più per centrocampisti ed attaccanti che tante volte possono tralasciare una marcatura, perchè sanno che la difesa tiene, ed essere propositivi nel momento in cui c’è il ribaltamento dell’azione prendendo la linea difensiva avversaria un attimino sguarnita ed impreparata. Chi ha una difesa forte ha metà campionato in tasca secondo me”.
Ne stanno beneficiando anche Furlan e Mbende, inizialmente molto criticati.
“Non è facile difendere i pali rossazzurri. Anch’io non partì bene. Però se ancora tanti amici di Catania mi chiedono quando ritorno in Sicilia, vorrà pur dire qualcosa. La gente s’innamora di chi vince, io ho vinto due campionati da capitano ed è il massimo. Il Catania ne ha avuti di portieri bravi come Rado, Petrovic, Vavassori… Io che alleno ormai da tanti anni so che basta poco per cambiare rotta e diventare protagonista. Un portiere che sa pilotare la linea difensiva ed uscire infonde tanta fiducia e sicurezza. In più Lucarelli sta curando molto la fase difensiva, quindi c’è un attimo di concentrazione maggiore nel reparto arretrato”.
Il passaggio dal 4-3-3 al 3-5-2, un pò drastico forse?
“Sono sistemi di gioco che prevedono diagonali diverse in fase di copertura, cambiano anche le trasmissioni di palla, le uscite. Io per 25 anni ho fatto tutti i moduli in italia e all’estero. C’è una compattezza maggiore passando al 3-5-2 che diventa 5-3-2. I due esterni devono avere tanta corsa nelle gambe. Ricevono palla nello spazio, rientrano nelle line difensive con le diagonali appropriate. In Lega Pro è un sistema che può produrre molto. Sei propositivo avendo due esterni che pungono da esterni bassi o alti, hai una compattezza maggiore a centrocampo e trovi quasi sempre una superiorità numerica. Lodi, in quest’ottica, mi sembra più bravo dalla trequarti in su. Bene anche da mezzala”.
Biagianti centrale di difesa, mossa azzardata o che può determinare effetti molto positivi nel tempo?
“Tutti i centrocampisti bravi quando passano gli anni diventano alla fine grandi difensori centrali. Biagianti sa giocare coi piedi, sa dare ampiezza, sa far muovere i due difensori che ha al suo fianco. Essendo bravo nella circolazione di palla, giocando da dietro diventa un regista aggiunto che può uscire palla al piede. Un’ottima soluzione direi, assolutamente”.
Hai difeso anche i pali della Paganese, cosa ricordi di quella esperienza?
“Ho un bel ricordo sul piano personale, anche se retrocedemmo. Subito dopo venni a Catania. Da portiere della Paganese, ricordo che a Catania facemmo 0-0 all’andata e parai un rigore a Ciceri. Fu la parata più facile in 90 minuti di bombardamenti e giocammo in dieci a partire dal 10′. Massimino (lo chiama Zio Angelo, ndr) al sottopasso mi diceva ‘spacchiusu napoletano’ tirandomi le pietroline. Noi eravamo una società disastrata, non avevamo giocatori e nel match di ritorno vincemmo 5-2. Parai altri rigori, il Catania veniva dal ko immeritato di Pisa, era convinto di fare un sol boccone di noi già retrocessi. Invece ci fu questa partita orgogliosa. Quando ritornammo a Pagani, fummo contestati dai tifosi perchè avevamo fatto ridere tutto l’anno e, da retrocessi, calammo la cinquina al Catania. Aneddoti del calcio…”.
Quelle due partite contro il Catania furono, forse, determinanti per il tuo passaggio al Catania?
“Presi 10 in pagella in entrambe le partite, ma molte altre volte feci bene nonostante le difficoltà di una squadra con tanti problemi. Dal punto di vista personale fu il coronamento di una crescita di un ragazzo che veniva dalle giovanili del Napoli. Poi andai a Nocera e feci così così, successivamente andò discretamente alla Paganese ed il terzo anno gli azzurrostellati mi riscattarono. Poi il trasferimento al Catania dove diventai il pupillo del Presidente. Già al secondo anno Massimino decise che io fossi il capitano. Rambone mi volle fortemente in Sicilia con altri 4-5 giocatori. I primi periodi per noi furono tristi e brutti, io fui additato come portiere che aveva sbagliato col Messina in Coppa Italia. Per 4 partite in campionato non giocai. Pian pianino, però, rientrai in campo ed è stata una escalation di buone prestazioni e di stima nei miei confronti da parte della tifoseria etnea. Tra i murales realizzati allo stadio sono insieme a Vavassori, il più bravo portiere che si sia mai visto a Catania. Questo aspetto m’inorgoglisce, fa piacere”.
Adesso di cosa ti occupi?
“Quest’anno ero andato in Sardegna ad allenare una squadra di Lega Pro femminile. Lo scorso anno ho lavorato come direttore in due società, l’anno ancora prima ho allenato all’estero. Il calcio femminile non era fatto per me e decisi di lasciarlo. Ci tengo a sottolineare che è un calcio in forte espansione, ma io mi trovavo in netta difficoltà. Allora sono tornato in Liguria da un amico che ha una società di Seconda Categoria e mi fa fare Il Direttore Generale e Sportivo, l’allenatore. Inoltre mette a disposizione un campo che mi permette di migliorare la mia scuola di perfezionamento RSI, mi diverto. L’unico rammarico è stata la chiamata arrivata un mese fa dalla Turchia, ma decisi di non allontanarmi più. A 64 anni è giusto portare avanti la RSI con i miei figli. Ci divertiamo e cerchiamo d’insegnare calcio. Rimaniamo sempre nel mondo del calcio ma con un attimo più di tranquillità senza lo stress di campionati importanti. Mi manca, però devi fare delle scelte. Ho fatto il Direttore con ottimi consensi e gratificazioni. Ora sono un pò tuttofare. Mi avevano chiamato un mese e mezzo fa anche dalla Lega Pro svizzera ma avevo dato la parola ad un amico e non me la sentivo di andare via. Rispetto sempre la parola data”.
Anche se ti chiamasse il Catania?
“Alt, alt… se mi chiedono di venire a fare il magazziniere, il Direttore Tecnico, il Team Manager o l’uomo di fiducia della società direi al mio amico ‘Ti ringrazio, ma sono 35 anni che aspetto questa chiamata’, prendo l’aereo volando immediatamente per Catania. Dico la verità, mi sembra strano che in tutti questi anni – non per fare il presuntuoso ma quando torno a Catania mi riconosce anche gente che non era nemmeno nata ai miei tempi – non ho mai avuto il piacere di ricevere una telefonata, proponendomi di venire a ricoprire un ruolo. Un pò in tutte le società i giocatori importanti ricevono la chiamata del club in cui hai dato e ricevuto tanto, ma a me non è mai successo”.
C’è un ruolo da Direttore Sportivo in questo momento vacante a Catania…
“I catanesi mi vorrebbero, io col Direttore sono molto amico ma sono un tipo che difficilmente chiede. Nel calcio per arrivare a certi traguardi bisogna meritarseli. Non chiamerei mai il Direttore chiedendogli di darmi una mano. Credo sia sminuente dal punto di vista professionale. Se non mi chiamano, vuol dire che hanno altre idee. Se mi chiamano, sanno chi sono. Tante volte nascono degli equivoci che a me piace chiarire subito. Io all’estero portavo sempre 4 collaboratori italiani e non mi sono mai vergognato di portare anche paletti e palloni. Mi chiamano spesso riconoscendomi una bravura in qualità di Direttore, forse come allenatore sono mediocre ma avendo le conoscenze giuste potrei fare bene da DS. La famiglia Sorrentino capisce di calcio e questo lo riconoscono tutti, credo sia importante. Io ogni anno mando a provare 14-15 ragazzini in società professionistiche. Mai nessuno mi ha detto ‘Ma chi ci mandi?’. Nella mia scuola di perfezionamento, la gente chiama in continuazione per seguire programmi di lavoro specifici allenando i portieri, ma ricoprendo tanti ruoli non ho il tempo di fare tutto. Altrimenti è facile sbagliare. Devi fare una o due cose. Oppure provi a fare il fenomeno, ma fenomeni in tutti gli ambiti della vita ne esistono pochi”.
Si ringrazia Roberto Sorrentino per la gentile concessione dell’intervista.
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