Tra i più giovani prodotti del vivaio del Napoli ad indossare la casacca della Prima Squadra, Pasquale Casale è ricordato in tante piazze importanti, tra cui Catania. Sotto l’Etna ha totalizzato ben 65 presenze. Nelle vesti di allenatore ha raggiunto la salvezza in situazioni spesso delicate e guidato varie squadre tra cui Cavese, Avellino, Atletico Catania e Gela. Casale è intervenuto con grande disponibilità concedendo un’intervista esclusiva a TuttoCalcioCatania.com:
Pasquale, che idea ti sei fatto di questo girone C di Serie C e delle difficoltà incontrate dal Catania?
“Per vincere il campionato non è sufficiente avere calciatori forti. Quando io giocavo nel Catania, ricordo l’allestimento di una squadra rappresentante il giusto mix tra i grandi giocatori del passato e molti giovani. Negli anni precedenti avevano costruito ottime rose ma il Catania non riusciva a venire su. Ci furono anche delle critiche, poi De Petrillo portò dei giovani poco conosciuti e nel giro di pochi anni si posero le basi per andare in Serie A con elementi come Morra e Castagnini. Giovani sconosciuti ma di grande talento fanno spesso la differenza. Io penso che il talento non lo inventi, se sai andare a prendere giovani con grandi prospettive ed affamati vinci i campionati. Serve gente con voglia di arrivare. Le grandi piazze in C possono fare fatica. Magari prendi gente di un certo passato che potrebbe anche essere demotivata. Serve la giusta dose tra chi vuole arrivare ed ottimi giocatori. Catania è una piazza da A, tu vivi l’ambiente come se giocassi nella massima categoria. Questo ti può dare un vantaggio ma anche alienare. Puoi prendere giocatori che hanno fatto la Serie A, ma bisogna chiedersi se questi in momenti difficili hanno trascinato la squadra. Elementi come Biagianti e Lodi dotati di qualità tecniche indiscutibili, possiedono anche qualità psicologiche da leader? Tecnica e qualità non bastano. Serve personalità. Io già all’età di 19 anni penso di avere dimostrato di averne parecchia. Al di là della categoria, l’ambiente Catania è da metropoli. Poi c’è la spinta dei tifosi che vogliono subito tornare nel grande calcio. In Serie A magari l’ambiente sa che non è facile salvarti, in C invece la pressione aumenta di molto. Questa è una difficoltà ulteriore”.
Giusto puntare maggiormente sui giovani secondo te?
“Nella mia carriera di allenatore ho lanciato gente che ha fatto carriera come Martusciello, Ametrano e tanti altri. Molti pensano che nelle gare importanti i giovani stentino perchè possono avere delle tensioni. Invece il giovane ha il vantaggio dell’incoscienza. Io all’Atletico Catania feci giocare 3-4 giovani che non giocavano mai e mi salvai direttamente in maniera clamorosa. Il giovane sfrutta l’occasione, la prende e non la molla mentre l’anziano può sentire il peso del fallimento di una stagione. Io se dovevo scegliere tra un anziano ed un giovane, sceglievo sempre il giovane. C’è il luogo comune che i giovani non bisogna bruciarli, tutte cavolate. Un giovane non si può perdere a 20-21 anni se ha talento, anzi ha una marcia in più. Non ha pensieri negativi”.
Ti piace la struttura dei Play Off di Serie C?
“No. Sono avvantaggiate paradossalmente le squadre che hanno inseguito i Play Off rispetto a chi ha lottato per il primo posto e si ritrova costretto a disputare gli spareggi. Se non hai la struttura mentale e fisica ideale per affrontarli, sono molto difficili da giocare. Chi arriva ai Play Off di rincorsa ha una carica emotiva davvero notevole, grande entusiasmo. Devi cambiare completamente mentalità e gestione della partita rispetto al campionato. Se sbagli una gara sei fuori. Subentrano altri aspetti tecnici, psicologici, mentali, tattici. I Play Off sono imprevedibili, non puoi davvero sbagliare nulla. Chiudere la stagione al secondo posto, poi, presenta i suoi svantaggi. Perchè devi stare parecchio tempo fermo e gestire la pausa. Se devi recuperare gli infortunati e consolidare certi meccanismi perchè hai cambiato da poco la guida tecnica è un bene non giocare, ma quando non disputi una partita vera per due settimane non sei rodato e può essere un’arma a doppio taglio. Io da allenatore preferisco sempre non avere pause, giocare subito la partita. Anche perchè chi gioca mantiene più facilmente la forma”.
Quanto sarà difficile per il Catania la trasferta con la Cavese e come valuti l’ingaggio di Walter Novellino?
“Cava de’ Tirreni è una piccola realtà ma ha fatto categorie importanti. Io li mandai fuori dalla Serie A con un gol a Pisa. Era il momento più alto della loro storia, segnai nel finale facendogli sfuggire la promozione nella massima categoria. Novellino ha consolidato più o meno i meccanismi di gioco in questo lasso di tempo. A dire la verità come uomo non lo stimo molto, però riconosco che sa di calcio ed ha anche la giusta quantità di falsità che serve quando gestisce un gruppo di qualità. Ripeto, a me non piace. E’ un falso umile ma sa gestire i gruppi, vanta un’esperienza enorme in piazze importanti, sul piano tecnico e tattico meglio non ci può essere in Serie C”.
Quando parli di calcio, lo fai con una passione innata. Come mai non alleni più?
“Io ho avuto un esonero con 10 punti raccolti in cinque gare. Ho salvato il Gela che veniva da 10 sconfitte, l’Atletico Catania nel finale di stagione quando non ci voleva andare nessuno. L’allora Presidente Proto mi chiese i Play Out ed io ottenni la salvezza diretta. Negli ultimi due anni ho fatto 22 punti in 17 gare con formazioni che stavano retrocedendo, ho entusiasmo ma non alleno neanche i giovani. Ho sempre fatto meglio degli allenatori sostituiti, tranne all’Andria. Ad Avellino m’inventai Cardinale mediano che era un’ala destra, la squadra pigliava quattro gol a partita e lui divenne il migliore mediano della categoria. Ho valorizzato gente, mi sono sempre salvato cambiando ruolo ai giocatori, subentrando in situazioni delicatissime. Adesso non alleno più e non per scelta mia. Ricordo quando Lo Monaco lavorava come dirigente al Savoia, io ero operativo all’Ischia. Mi considerava un esaltato perchè facevo lavoro in acqua alternativo e fui il primo ad adottare questa metodologia. Oggi in Serie A lavorano quasi tutti in acqua. Qualcuno sa che io ho fatto bene. Poi il mestiere dell’allenatore è particolare. Se vinci sei un mago, altrimenti sei scarso. Molti parlano di fortuna quando le cose vanno bene, non è così. A me piace il calcio e parlarne anche se non alleno, guardare le caratteristiche dei calciatori ed intuire dove rendono al meglio in campo perchè fa parte del mio bagaglio. Non vivo mai passivamente il calcio, mi piace analizzare il principio. Sono assolutamente lucido. C’è qualcuno che mi scambia per presuntuoso, nella mia illusione penso di potere ancora allenare anche se è difficile, ma mai dire mai. In ogni caso vivo bene la mia vita. Oggi mi sono fatto il mio torneo amatoriale a 60 anni. Ci sono altre cose a cui pensare, ho anche un rapporto lavorativo da opinionista. La passione per il calcio non va mai via”.
Si ringrazia Pasquale Casale per la gentile concessione dell’intervista.
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