Dopo Francesco Bifera e Fabrizio Ferrigno, la redazione di TuttoCalcioCatania.com intervista un altro doppio ex di Juve Stabia e Catania, avversarie allo stadio “Romeo Menti”. Parliamo di Pasquale Casale, giocatore rossoazzurro tra il 1979 ed il 1981 protagonista della promozione del Catania in Serie B e della salvezza degli etnei in cadetteria. Con la Juve Stabia, invece, si registra l’esperienza della stagione 1997-98 da allenatore concludendo il campionato di C1 al sesto posto.
Allora Pasquale, cosa ha significato per te vivere l’esperienza di Catania?Â
“Catania è stata la mia prima esperienza da protagonista, anche se io avevo già giocato in Serie A a Lucca ed Avellino. Ero giovane, all’inizio è stato un pò traumatico per me il passaggio al Catania provenendo dalla massima categoria ed essendo stato uno dei migliori giovani del campionato, convocato in Under 21 e giocatore di prospettiva nazionale. Impatto non ottimale ma poi, pian pianino, a Catania ho avuto la consacrazione vincendo il torneo di Serie C, ero capitano della Nazionale di C, feci grandi cose. L’anno successivo mi ritrovai nella Nazionale di B con Valcareggi e, in un campionato cadetto che includeva formazioni blasonate come Milan e Lazio, ci salvammo con De Petrillo e Mazzetti in panchina. Catania mi entrò subito nel cuore e anch’io per i tifosi, ero il pupillo di Massimino. Avevo appena 19 anni. Poi andai via a causa dei rapporti non dei migliori con Mazzetti. A Catania tornai da tecnico dell’Atletico negli anni ’90 conquistando una salvezza insperata con il club di Proto, gli ‘arribattuti’ come li chiamano alle pendici dell’Etna. Però devo dire che molti tifosi del Catania furono contenti di quella salvezza perchè mi volevano bene veramente. Ho lasciato grandi amici che porto sempre nel cuore e ancora sento ogni tanto. A Catania passai dall’essere giovane a scendere in campo con regolarità . La Serie A la conquistai con il Pisa, ma quel Catania era destinato a crescere nel tempo. Catania è una grande piazza e Di Marzio fu bravo ad integrare i nuovi. Ricordo in particolare Damiano Morra, per me un grandissimo giocatore che poteva fare molto più di quello che ha fatto”.
Quale fu la causa che ti portò lontano da Catania?
“Andai via da Catania con un pò di amarezza, fui costretto perchè Mazzetti si fece una brutta idea su di me. Era un bravo allenatore ma un pò permaloso, tirava fuori la storia dei giocatori legati al precedente allenatore, De Petrillo, ma non era vero. Negli anni mi fece comunque piacere che riconobbe il fatto di essere leale con lui. Forse Massimino ci rimase un pò male quando lasciai il Catania perchè mi considerava come un figlio. Ho il rammarico di non avere mai allenato la squadra rossoazzurra. Forse il mio sbaglio è che utilizzo poco il telefono… I risultati parlarono chiaramente. Da allenatore ho salvato il Gela e l’Atletico Catania in maniera clamorosa, feci un miracolo. Io sono sempre subentrato a stagione in corso portando a termine gli obiettivi. Mi aspettavo una chiamata dal Catania sinceramente, ma non è mai arrivata”.
Stai seguendo il campionato di Serie C?
“Ultimamente un pò meno. So che il Catania ha grandi ambizioni e la piazza merita di stare su. Per alcune città ci vorrebbe l’iscrizione obbligatoria in categorie superiori. Piccoli club mantengono a lungo la A e molte società con grandi possibilità economiche rimangano ai margini del grande calcio. Questo perchè aumentano gli appetiti di persone che amano le proprie tasche. Poche società sono gestite in maniera corretta. Il calcio è un mondo molto particolare e circoscritto nel potere. In Italia contano prima gli interessi finanziari, poi quelli tecnici e sottobanco spariscono milioni di euro come niente fosse. Da quando hanno inserito questi meccanismi di protezione finanziaria, gli speculatori riescono ad accedere a finanziamenti non leciti. Meglio un imprenditorie corretto che programmi ed investa nel tempo. Sempre più spesso nel calcio interviene gente che all’inizio sembra capace di muovere mari e monti, invece poi hanno difficoltà economiche ed agiscono in maniera scorretta. Oggi falliscono paradossalmente più spesso le società nonostante i controlli dovrebbero essere più efficienti”.
Il Catania sta programmando la risalita, ma non è facile abbandonare la C…
“Se prendi i migliori della C e qualcuno forte di B, sono comunque giocatori che più di quello non possono darti. Noi vincemmo il campionato con giocatori poi andati in A. Serve anche fortuna, l’investimento economico da solo non basta in C. Se i calciatori acquistati non beccano l’anno buono rischi di non salire. Le società forti quando vanno in B ottengono grandi risultati al 99% dei casi. Vedi il Benevento che, superato lo scoglio della C, si è proiettato in A. Per il Catania una volta superato questo scoglio sarà più facile puntare al doppio salto. La C è un inferno da cui è difficile uscirne, ma se si lavora bene in un paio d’anni hai buone probabilità di farcela. Il girone C, poi, è particolarmente insidioso per motivi anche ambientali e contano i rapporti tra presidenti”.
Catania di scena a Castellammare di Stabia, campo tradizionalmente ostico…
“I campi della Campania sono sempre difficili da espugnare. Quando fai risultati in Campania vinci il campionato. Ho allenato la Juve Stabia negli anni ’90. Parliamo di un’altra grande piazza e di un’altra grande esperienza vissuta. Lì l’ambiente è molto caldo, queste sono le partite che poi dicono quanto vali veramente dal punto di vista tecnico e della personalità , della capacità di mantenere certe pressioni. Se il Catania passa al ‘Menti’ è un segnale importante. Queste sono le partite più facili da giocare dal punto di vista del calciatore e dell’allenatore perchè si preparano da sole psicologicamente. Sono gare in cui non hai scuse e non puoi prenderle sottogamba. Se lo fai, vuol dire che qualcosa manca. Io ricordo di non avere mai avuto problemi ad affrontare le partite di cartello. Mi esaltavo. Se vai là preparando la partita con sufficienza e sbagliando la prestazione, vuol dire che devi correggere qualcosa sul mercato. Poi Catania ha una pressione simile ad una piazza come Napoli, non tutti i giocatori la sanno gestire. La pressione può mangiarti. Inoltre la squadra di Sottil ha fatto i conti con continui rinvii ed incontri da recuperare. Così sballa la preparazione e rimodularla non è facile. Va gestita con grande maestria. Magari si parte bene e poi si compromette un pò il cammino”.
Sottil ha cambiato più volte sistema di gioco finora, cosa ne pensi?
“La squadra si allena per principi. Il problema è l’intesa. Si gioca per principi ed intesa, poi sta nell’intuizione dell’allenatore modificare qualcosa o meno. Può essere un vantaggio modificare il modulo, ma se hai bisogno di giocatori che necessitano del compitino scritto allora cambiare non produce nulla. Questo lo deve capire l’allenatore. Essere camaleontici va bene se hai giocatori adatti allo scopo. Vedi il Napoli con Mertens che se lo metti centravanti va in rete, invece dietro manda in gol Insigne. Dipende sempre dalla qualità individuale dei giocatori, ci vuole anche fortuna, coraggio e bravura nelle intuizioni. A volte bastano sei giorni per trasmettere la tua mentalità alla squadra e, magari, in tre mesi non riesci. Io posso fare tanti esempi di giocatori che ho cambiato di ruoli ottenendo risultati. Ametrano lo feci diventare esterno destro basso in C1 e andò all’Udinese, Notari dicevano fosse un bidone ed invece, in un ruolo diverso, diventò uno dei migliori difensori della B per tantissimi anni”.
Torniamo indietro nel tempo. Angelo Massimino, che ricordo conservi del ‘Presidentissimo’ e hai qualche aneddoto da raccontare ai nostri lettori?
“Quando mi feci male all’occhio, ebbi applicati 23 punti di sutura al sopracciglio. Lui mi teneva la mano e piangeva perchè pensava avessi perso l’occhio. Mi tenne la mano tutta la notte. Oppure ricordo anche che fu determinante in un momento in cui l’allenatore non mi faceva giocare nonostante fossi uno dei più in forma. Massimino impose che venissi schierato e non poteva fare una scelta migliore. Mi pagò un sacco di soldi dall’Avellino. Poi io portai tantissimo alle casse del Catania. Massimino fu come un padre. Mi scriveva il contratto su un block notes. Mettevo la firma mia, lui la sua, era una promessa. E lui manteneva la parola, ricordando la cifra esatta che poi avrebbe dovuto pagare. Un uomo di parola e molto oculato”.
Come sono cambiate le metodologie di lavoro nel calcio?
“Oggi gli allenatori portano gli Ipad in panchina, ricordo che mi prendevano tutti per il c*** quando facevo gli allenamenti in acqua. Volevano quasi bocciarmi a Coverciano per la tesi che portai, dicendomi ‘Casale, noi siamo calciatori e non nuotatori’. Adesso il Napoli ha acquistato uno strumento speciale per sostenere gli allenamenti in acqua. Se trovi il dirigente che ti capisce e valorizza diventa un vantaggio enorme. Altrimenti è un problema. Io sono sempre stato un innovatore, uno dei primi in Italia ad adottare il modulo 3-3-4 o il 4-2-3-1 a Gela, ma non ho mai abbandonato la parte della formazione del calciatore dal punto di vista individuale. Si parla troppo di sistemi di gioco, in realtà mancano i fondamentali nella parte tattica. A 17 anni sapevamo marcare tutti ai miei tempi, ora si parla troppo poco di formazione. Ci insegnavano a leggere l’avversario, la partita. I settori giovanili devono insegnare i ruoli, va rimodulato il concetto di scouting e di formazione. Diamo la mentalità , perfezioniamo i meccanismi individuali rispetto alle prospettive di ruolo che hanno”.
Juve Stabia-Catania, il tuo cuore da che parte sta?
“Io mi trovo in difficoltà a tifare per una delle due. Ci sarà un vincitore, oppure un pareggio che non fa male a nessuno. In caso di vittoria, spero che vinca chi merita più dell’altra. Con un particolare occhio al Catania, diciamo questo. Anche perchè ho giocato tre anni in rossoazzurro vivendo una bellissima esperienza. C’è questa voglia di risalire subito, capisco i tifosi del Catania. La B è un altro pianeta, vedere squadre come il Carpi militare in B, oppure il Chievo Verona in A ed il Catania giù piange il cuore. Conosco, peraltro, Lo Monaco. Lo stimo molto e so che non sarei mai il suo prototipo di allenatore ma anche lui si è convertito alle innovazioni, negli anni è migliorato fino a diventare un grande dirigente. Per me lui è un uomo di valore e penso proprio che il Catania sia in buone mani. E se lo dico, lo penso veramente. Anche se non mi ha mai preso”.
Si ringrazia Pasquale Casale per la gentile concessione dell’intervista.
***CLICCA QUIÂ per mettere MI PIACE alla nostra pagina Facebook***