AYA: “Serie B, obbligati a crederci. Taglio la barba in caso di promozione. Catania è coinvolgente, inevitabile attaccamento alla maglia”

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Ramzi Aya

Il difensore del Catania Ramzi Aya protagonista del consueto ‘Face to Face’ di Ultima Sport. Ecco evidenziate le parole più significative del giocatore:

“Purtroppo a Potenza abbiamo sbagliato atteggiamento e, quando si verifica questo, può succedere che ti ritrovi sotto di due reti. Poi ribaltare il risultato non era semplice, non ci siamo riusciti. Adesso comunque la sconfitta è stata archiviata, abbiamo capito i nostri errori e andiamo avanti. Dobbiamo fare in modo che il nostro atteggiamento sia sempre lo stesso, a prescindere dall’avversario di turno. Io penso ad allenarmi, a fare del mio meglio, avendo rispetto verso società, staff tecnico e compagni. Cerco sempre di rientrare a casa a fine partita ed allenamento con la coscienza pulita, poi nel calcio si sbaglia ma l’obiettivo è dare tutto me stesso fino alla fine. In generale sono cambiato da quando mi sono sposato. Mi sento molto più tranquillo, ma se c’è una cosa che mi fa impazzire e proprio non tollero è la mancanza di rispetto”.

Il Catania è una piazza molto calda che ti coinvolge. Qui tutti si aspettano tanto, quindi le partite della domenica e gli obiettivi di squadra diventano anche delle responsabilità. Responsabilità importanti e devi inevitabilmente attaccarti alla maglia. Avevo delle offerte prima della chiamata di Argurio ma mi convinsi al 100% di sposare il progetto rossoazzurro perchè capì subito l’aria particolare che si respirava, l’entusiasmo della gente. E’ davvero un onore indossare questa maglia. Meglio la difesa a tre o a quattro? Io non sono un integralista. A tre posso magari essere un pò più aggressivo, a quattro più intelligente. In entrambi i casi è importante fare bene la fase difensiva di squadra. Altrimenti prendi le imbarcate. Per un difensore conta molto fare bene la fase difensiva di squadra semplificando il lavoro”.

“La mia carriera? Dopo l’esperienza alla Fiorentina arrivai alla Reggiana in giovane età. Per mia sfortunata fui poco equilibrato. Ho fatto diversi errori, non ho trovato neanche gente pulitissima. L’avventura era iniziata bene, rimasi lì tre anni e mezzo. Sono cresciuto come uomo e calciatore. E’ finita male, sono rimasto sei mesi fuori rosa per un litigio ma posso solo ringraziare la Reggiana perchè è stata un’esperienza altamente formativa. Ero molto irruento ed il tecnico mi ha insegnato a temporeggiare. A Rimini mi sono trovato bene ma finì male per caos societari. Anche alla Torres ma pure lì ci sono stati dei problemi. Sono maturato mentalmente in queste due piazze. Alla Fidelis Andria, invece, ho trovato un ambiente che mi ha coccolato e fatto sentire a casa. Un ambiente nel suo piccolo molto ambizioso che ha accelerato il mio processo di crescita umano e professionale. Sono migliorato grazie a mister D’Angelo e Favarin sia a livello mentale che calcistico. A Catania penso di avere registrato ulteriori progressi giocando davanti ad una cornice di pubblico importante, in uno stadio che trasmette belle sensazioni e ti dà emozioni forti, provi adrenalina, carica, tante cose messe insieme. Tutto molto gratificante”.

“Perchè il numero 4? Non ha nessun significato particolare. Ai tempi di Andria scelsi questo numero di maglia e mi ha portato bene, da allora non l’ho cambiato. Se sono scaramantico? Durante la settimana io non mi risparmio. Cerco di curare un pò tutti i dettagli, studiare gli avversari e chiunque esso sia per cercare di essere più preparato possibile. Mi soffermo soprattutto sugli attaccanti. Avevo un rito scaramantico in passato, ascoltavo sempre una canzone ad Andria, una canzone un pò cafona diciamo. A Catania invece bacio il tatuaggio di mia nonna e la fede prima della partita. Non ho proprio riti. Abitudini più che altro.

“Suggerimenti di qualche allenatore che mi sono stati utili? Penso ad Amedeo Mangone alla Reggiana. Ricordo una settimana in cui sapevo di non giocare la domenica e non mi allenai con il massimo impegno. In rifinitura si fece male un difensore, di conseguenza toccò a me scendere in campo, vincemmo ma io giocai male. L’allenatore disse di ricordarmi che l’interruttore non si accende la domenica ma durante gli allenamenti settimanali. Questo insegnamento mi è servito per la preparazione delle partite. Ho capito che allenarsi è fondamentale. Al termine della gara stacchi per un giorno l’interruttore ma poi, quando rientri in campo, devi riattaccarlo subito”.

“Giorno e mese di nascita? Non il 2 agosto ma l’8 febbraio. C’è questo errore ma meglio così, sono più giovane (ride, ndr). Io metà tunisino e metà italiano? Sono stato convocato anche in nazionale tunisina ai tempi della Fiorentina ma non ho accettato. Dentro di me scorre anche sangue tunisino però sono nato a Roma, parlo italiano. Diciamo che per un 98% mi sento italiano ma al 2% tunisino. Con quale calciatore ho legato di più in carriera? Faccio il nome di Nicola Mancino, ad Andria abbiamo condiviso una bella annata. Lui poi ha avuto diversi infortuni, gli sono stato vicino e l’ho apprezzato molto come persona. Mangiare? Mi piace ma non roba tanto pesante. L’amatriciana la mangio, ci mancherebbe, però preferisco un sushi. Roba più leggera, non parecchio condita come mi è accaduto per anni a Roma con la cucina di mia nonna…”.

Salto di categoria? Abbiamo l’obbligo di crederci e di cercare in tutti i modi di farlo. Se il sogno diventasse realtà? Taglierei la barba. Mia moglie non sarebbe d’accordo se la tagliassi però capirebbe sicuramente. Il mio primo gol rossoazzurro a Pagani? Fu una forte emozione perchè il gol lo inseguivo da un pò di tempo. C’ero andato vicino diverse volte. Tra l’altro mi avevano fischiato un rigore contro che non c’era. E’ stata una liberazione per me entrare nel tabellino dei marcatori”.

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