Da lunedì 24 a venerdì 28 settembre, il Centro Sportivo del Calcio Catania Torre del Grifo Village ospita un camp speciale organizzato e sostenuto da AIC ONLUS con UNICEF Italia, con il patrocinio della Lega Italiana Calcio Professionistico. Un percorso sportivo-educativo di cinque giorni che coinvolgerà 50 minori (tra stranieri non accompagnati e ragazzi del territorio). Le attività proposte dallo staff del Dipartimento Junior AIC seguiranno il modello formativo dell’Associazione Italiana Calciatori che valorizza il calcio come strumento di crescita per il ragazzo. Parteciperanno alle attività anche cinquanta operatori ed educatori dei centri di accoglienza del territorio. Lo staff AIC li formerà sul corretto approccio al gioco del calcio e sulle competenze tecniche ed emotive.
Quest’oggi sono intervenuti in Sala Congressi Alessandro Failla (Responsabile settore giovanile Calcio Catania), l’ex calciatore della Roma Simone Perrotta (attuale responsabile Dipartimento Junior AIC), Fabio G. Poli (segretario generale AIC Onlus), Carmela Pace (vice Presidente UNICEF Italia), Chiara Ricci (Responsabile dell’Area Volontari e Programmi UNICEF Italia), oltre ai giovani rossazzurri Kalifa Manneh (classe 1998 attualmente in Prima Squadra) ed Ibrahim Escu (classe 2001 ed oggi nell’organico della Berretti).
ALESSANDRO FAILLA: “Siamo lieti di ospitare un’iniziativa così importante. In un momento non felicissimo per il calcio, in cui si pensa solo a vincere, direi che i vincitori sono loro, AIC Onlus e Unicef Italia, che hanno pensato e coordinato questo progetto”.
FABIO G. POLI: “La cosa principale è il campo ma devo fare dei ringraziamenti veramente sentiti. Grazie al Calcio Catania per averci accolto in uno dei migliori centri sportivi italiani con grande disponibilità, cosa non affatto scontata. E’ un successo per noi. Lo vedo negli occhi dei ragazzi. Come AIC attraverso la nostra Onlus ci siamo legati alla Unicef realizzando un sogno con i ragazzi. Abbiamo scelto il campo da calcio come luogo comune perchè sul campo vogliamo parlare insieme una lingua che non ha bisogno di moltissime parole. Non servono grandi spiegazioni. Il calcio è un’opportunità per stare insieme ed appartenere tutti ad una stessa comunità. Grazie al Catania per la collaborazione ed all’Unicef con la quale da due anni scriviamo una storia che cercheremo di raccontare al maggiore numero di ragazzi possibile. Non solo in Italia. Noi come AIC viviamo un momento complicato. Il più complicato del calcio professionistico degli ultimi anni. Ma da iniziative del genere può partire un messaggio diverso. Lavorando insieme possiamo costruire dei sogni. Ringrazio i ragazzi e tutti gli operatori che li accompagnano nella quotidianità. Ai ragazzi dico sentitevi protagonisti e responsabili. Quelle magliette che avete addosso sono utili per giocare ma portano tutto l’impegno delle persone che stanno cercando di mandare questo messaggio di comunanza. Sentitevi responsabili perchè questo è calcio ed un’occasione per stare insieme. Portate il messaggio anche oltre questa settimana di camp”.
CARMELA PACE: “L’Unicef tutela i diritti di tutti i bambini qualunque sia il colore della pelle e la religione a cui si crede. Vogliamo creare un tutt’uno attraverso il gioco del calcio. E’ il realizzare un diritto allo sport. Lo sport amico che deve essere praticato da tutti. Senza barriere, facendo sì che tutti possano integrarsi. Praticare significa convivere volendosi bene, tutelandosi, proteggendosi. E’ importante che questo avvenga a Catania. Noi in Sicilia abbiamo la maggior parte di bimbi che vive in situazioni precarie. Attuare qualcosa per cui questi bimbi si sentano uguali agli altri bimbi del mondo è molto importante. Così come è importante che tutti possano praticare lo sport secondo le proprie attitudini. Per il calcio basta un campo e attorno a quel campo siamo tutti uniti e uguali. Ringrazio i partner di questo progetto. Scuola e salute sono le nostre prerogative. La cultura è un altro denominatore comune. Ragazzi italiani e stranieri s’incontrano facendo valere lo stesso diritto allo sport“.
CHIARA RICCI: “Il valore di quello che stiamo realizzando lascerà un’ impronta storica. L’Unicef utilizza lo sport per portare i diritti dei bambini in tutto il mondo. Lo sport aiuta nel recupero psico-sociale contro i pregiudizi di genere. Il calcio femminile ha trovato il suo giusto posto. Pensiamo anche all’inclusione per i bambini disabili che hanno il diritto di giocare. Lavoriamo ad un progetto che punta a dare una risposta ai temi dell’accoglienza e dell’inclusione sociale. Domenica ad Assisi un gruppo di giovani italiani e neo maggiorenni stranieri si sono raccontati le loro storie. Ecco, noi in questo campo ci raccontiamo le nostre storie, sapendo di avere uno strumento importante di condivisione. Non c’è solo il ragazzo di Catania, ma un gruppo di giovani che hanno diritto al gioco, al tempo libero. Esistono dei metodi formativi per fare in modo che questa attività di condivisione ed inclusione si svolga all’interno del calcio. Un ringraziamento particolare va rivolto agli operatori, senza di loro sarebbe complicato riuscire a realizzare questo tipo di lavoro. Ringrazio chi tutti i giorni cerca di tenere viva l’attenzione verso queste tematiche. 50 neo maggiorenni immigrati, 50 operatori stanno vivendo un sogno che si realizza. E’ il primo obiettivo raggiunto che dovremo inequivocabilmente tracciare su tutto il territorio nazionale”.
SIMONE PERROTTA: “Io ringrazio l’Unicef che ci ha permesso di fare tutto questo. Ringrazio anche la mia squadra. Oggi mi sono permesso di dire qualcosa ai ragazzi andando in campo. Ho detto di essere molto felice di stare con loro. Nella mia carriera ho giocato con calciatori provenienti da altri Paesi. Per me è sempre stato un momento di grande conoscenza e crescita perchè l’ho visto come un’opportunità di capire culture diverse. La differenza genera ricchezza, personalmente mi sono arricchito perchè attraverso il calcio ho conosciuto Paesi e ragazzi diversi. La vita è bella, ci ha dato la possibilità di essere qua, correre in mezzo al campo. Ragazzi, non permettete mai a nessuno di dire che non valete. Valete nel momento in cui vi mettete in competizione. La vita cambia da così a così. Io da bambino rincorrevo un sogno. Ho avuto l’opportunità, l’ho sfruttata e mi è cambiata la vita. Può succedere anche a voi. Il calcio spesso viene visto come qualcosa di malato, di cattivo giusto. C’è la violenza, giocatori che non hanno atteggiamenti giusti, genitori che litigano sulle tribune per le partite dei ragazzi. Noi ci siamo posti il problema. E la radice del problema sono i ragazzi, che non vedono differenze se giocano con un ragazzo senegalese o no. Il pallone non genera differenze. Noi come AIC ci siamo posti il problema di educare. Gli adulti li possiamo sensibilizzare. A livello sociale possiamo cambiare la cultura del nostro Paese lavorando sui ragazzi. Vogliamo che nelle scuole calcio si veda la crescita completa del ragazzo. Sogniamo un calcio diverso, che sugli spalti ci siano tifosi che non vedano solo il campione ma l’uomo al di là del campione. Questo possiamo farlo solo attraverso i bambini. Abbiamo la grandissima opportunità di lavorare in sinergia cambiando anche il mondo. Non è utopia ma il nostro sogno”.
“Il nostro progetto tecnico è nato per mettere il bambino al centro di qualsiasi discorso, la crescita calcistica di pari passo con quella della persona. Cinque anni fa siamo partiti con 5 società aderenti. Oggi sono quasi 30, tutti club di ex calciatori o calciatori in attività responsabili dell’attività di base. Osserviamo gli allenamenti, formiamo i tecnici. Poi quasi sempre a fine stagione concludiamo con un camp estivo della durata di cinque giorni. Ripartiamo dall’esperienza di ognuno di noi. Oggi il calcio viene visto come riscatto sociale ed i genitori riversano queste aspettative nei figli. Poi i figli avvertono la responsabilità e gli adulti gliela fanno pesare. Io spesso vado anche nelle scuole a raccontare la mia storia perchè questo è un periodo in cui tutto sembra facile. Come se per ottenere un successo basti scioccare le dita. Non è così. Noi dobbiamo fare capire ai ragazzi che indipendentemente dai risultati serve il sacrificio, il sudore e la formazione ad uno studio. La scuola è importantissima in questo senso. Io ho fatto il calciatore ad alti livelli, ho smesso a 35 anni mettendomi a studiare e formarmi in base al percorso che dovevo costruire in seguito. La scuola non va mai abbandonata. Noi genitori dovremmo responsabilizzarci, accompagnando i nostri figli attraverso un percorso strumentale che consenta loro di districarsi nella vita di tutti i giorni. Qui subentra la responsabilità degli adulti. Non sperando che tuo figlio giochi per diventare un campione, ma con l’obiettivo che cresca secondo i valori dello sport. Se vogliamo il bene dei nostri figli dobbiamo pensare a questo. Tanti fanno calcio perchè il padre lo vuole. Spesso non ci si mette nei panni del figlio, non capendo ciò che è meglio per lui. Io sono andato via da casa a 14 anni. Sono cresciuto attraverso il rapporto con tutti i compagni nello spogliatoio che mi hanno accompagnato nel percorso”.
IBRAHIM ESCU: “Ho lasciato il mio Paese ad appena 12 anni. Sono arrivato in Italia per raggiungere il mio obiettivo, sognavo di essere calciatore. E’ stata dura la prima volta arrivare in Italia perchè era difficile giocare. Poi una famiglia italiana mi ha portato in un centro d’accoglienza ed ho vissuto quasi cinque anni. Sono grato di fare parte del Calcio Catania. Ai ragazzi che hanno il mio stesso sogno dico che non è facile, però dovete avere coraggio e fiducia in voi stessi. Questo conta”.
KALIFA MANNEH: “Anch’io ho avuto difficoltà a giocare in Italia. Non è stato facile dovendo aspettare un pò di tempo, quasi tre anni per giocare da professionista. Però sapevo che prima o poi il momento sarebbe arrivato, ho aspettato e oggi sono contentissimo. Sono un calciatore professionista ed il Calcio Catania mi ha aiutato tantissimo a crescere. Consiglio ai ragazzi, allora, di aspettare il momento giusto. Arriverà”.
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