Roberto Sorrentino a cuore aperto. Piacevolissima chiacchierata con l’ex portiere del Catania, uno dei simboli del calcio rossoazzurro intervenuto ai microfoni di TuttoCalcioCatania.com. Intervista focalizzata sul presente che vive Sorrentino ma anche il futuro, con un tuffo inevitabilmente rivolto al passato, aneddoti, curiosità, riflessioni di un professionista serio ed esemplare.
Ciao Roberto, come stai?
“Da vecchietti (sorride, ndr), in attesa di qualcosa. Sono in trattativa con una squadra della massima serie maltese. Qualche mese fa ho rifiutato un club cinese vicino Shangai ma anche offerte italiane dall’Eccellenza ed Interregionale. Gli ultimi anni li ho fatti allenando in Ucraina, Albania e Guatemala”.
In quanto bandiera nella storia del Catania, non posso non chiederti qualche considerazione sul campionato attuale in cui militano i rossoazzurri e le possibilità di vittoria del girone…
“Il Catania attraversa una fase importante, credo che abbia le carte in regola per ottenere la promozione diretta. Per vincere un campionato bisogna sempre partire da un’ottima difesa. Il Catania, poi, tranne in alcune circostanze, il gol lo trova sempre. La squadra è pilotata in modo ottimale dal tecnico e dalla dirigenza, Lo Monaco in primis. E’ sulla scia giusta per ambire alla promozione, mi auguro diretta. La tifoseria, inoltre, è molto importante. Non me ne vogliano gli altri tifosi di squadre in lotta per il salto di categoria, ma sono convinto che il Catania chiuderà al primo posto. Vanta una dirigenza di un certo spessore anche come esperienza maturata negli anni”.
Si profila un duello sempre più avvincente tra Catania e Lecce. La prima gara stagionale dei rossoazzurri sarà proprio contro i salentini in trasferta. Una sfida dal sapore particolare, non credi?
“La squadra di Lucarelli può giocarsela con tutti ad armi pari e lo sta dimostrando. Lecce è una grande piazza, però Catania nei momenti di difficoltà riesce sempre a tirare fuori dal cilindro qualcosa d’importante. Sono certo che i rossoazzurri non perderanno questa partita. Vincere sarebbe perfetto ma anche un pari andrebbe benissimo, in quanto prevarrebbe la differenza reti a parità di punteggio in classifica”.
Fossi nel Catania, sul mercato non altereresti alcun equilibrio oppure interverresti?
“Sicuramente il Catania tenterà qualche piccolo rinforzo a gennaio, ma è normale. Va preso qualche ricambio opportuno, visto che il campionato è lungo. Nel periodo invernale, poi, aumentano anche gli infortuni. Secondo me già Pietro (Lo Monaco, ndr) ha bloccato qualche giocatore che può essere determinante per la causa rossoazzurra”.
Pisseri nuovo Sorrentino, un azzardo dirlo oppure questo ragazzo è destinato a palcoscenici importanti?
“Io ho sempre parlato bene di Pisseri, mi piace. Gli auguro che possa diventarlo e, magari, superarlo migliorandosi in continuazione. So che è un ragazzo serio, sempre sul pezzo. Ancora io dopo 30 anni vengo ricordato dai tifosi del Catania. Anche perchè ormai di Sorrentino è rimasto solo Roberto e l’altro mio figlio, Ivano, fa l’attaccante. Lo stiamo valutando in un campionato di C, vediamo se in tornei più importanti Pisseri sarà in grado di confermare le sue qualità. Io credo di sì, sono convinto che chi sa parare in C sappia farlo anche nelle altre categorie. E’ sulla strada buona”.
Calcio migliorato o peggiorato rispetto ai tuoi tempi?
“Il calcio è peggiorato ma non tanto a livello di Serie A. Il problema sussiste nelle categorie inferiori, dove c’è l’esagerazione di puntare sull’ingresso di calciatori stranieri. Non ho niente contro di loro, anzi li stimo perchè ne ho allenati tanti, ma le qualità degli italiani non vengono migliorate. Perchè magari si preferisce spendere meno con giocatori provenienti dall’estero. Nelle categorie inferiori ma anche nei tornei professionistici bisognerebbe consentire agli Under meritevoli di crescere giocando con costanza. Più sali di categoria, del resto, più migliori. Quando ti confronti in categorie superiori, impari a migliorarti. Se io avessi continuato a giocare in C, sarei rimasto un portiere di terza serie. Stiamo penalizzando i settori giovanili. Mancano istruttori di livello. All’estero puntano maggiormente sui giovani, hanno capito l’importanza. Oggi il calcio è cambiato, sono diverse anche le metodologie di lavoro. Trapattoni, con cui ho lavorato per anni, mi dice ‘Tu sei matto, prima o poi ti faccio strappare il patentino di allenatore perchè tu li ammazzi di lavoro e li fai lavorare tanto’. Evidentemente se le mie squadre non smettono mai di correre, c’è un motivo…”.
L’Italia ha sempre avuto una scuola di portieri importante, lo scenario attuale come lo vedi?
“Ci tengo a sottolineare che io gestisco con i figli una scuola calcio, ma abbiamo pensato di cambiare registro dedicandoci prettamente ai portieri con istruttori di livello ed esperienza. Effettuando un lavoro mirato, in prospettiva e personalizzato. Non abbiamo la bacchetta magica ma qualche ragazzo lo potremmo aiutare sensibilmente. Il ruolo del portiere è molto particolare, necessita di tante situazioni difficili da spiegare. Le devi vivere. Io, a parte l’esperienza di Bologna, non ho mai avuto un preparatore dei portieri. La scuola di portieri in Italia è sempre stata il Top ma anche qui l’Italia ha perso qualcosa. Ci sono tanti estremi difensori bravi anche in B e C che meriterebbero spazio nelle categorie superiori”.
Ci sono rimpianti nella tua carriera, Roberto?
“I rimpianti ci sono. In particolare ricordo che, in caso di promozione del Catania in Serie A, come poi successo, io sarei rimasto ai piedi dell’Etna. Se così non fosse stato, mi avrebbe prelevato la Juventus che, poi, puntò su Stefano Tacconi. Non volevo andare via da Catania, però è chiaro che essere nel mirino di un club blasonato come la Juve faceva piacere. Del resto si migliora giocando con i campioni. Magari avrei potuto avere altre finestre future. Il calcio è strano. Anche mio figlio Stefano avrebbe meritato altre possibilità e la convocazione in Nazionale. Il piccolo Ivano, invece, ha fatto una presenza in Champions con la Juventus ma non gioca ad alti livelli. La causa è anche da ricercare nei tanti infortuni. Probabilmente non eravamo adocchiati da persone importanti. Ho fatto anche l’osservatore del Torino, l’allenatore nel settore giovanile, il D.S. in alcune società di categorie inferiori, ho allenato all’estero come dicevo prima e maturato conoscenze a non finire. La nostra famiglia è sempre sotto la luce dei riflettori. Evidentemente abbiamo seminato bene. Magari non siamo arrivati al top come Buffon e Zoff e c’è stata quella meritocrazia che forse avremmo meritato, ma è anche un discorso di fortuna. Nella vita, come nel calcio, c’è chi è da 7, 8, 10. Io ero sopra la sufficienza. E ti dico di più…”.
Prego…
“Da calciatore ero un pò lavativo, quando c’era da lavorare tanto cercavo di scappare. Totalmente l’opposto del Sorrentino allenatore. Arrivavo a casa stravolto, soffrivo soprattutto la fase iniziale della preparazione precampionato. Io a settembre ero ancora imballato, avevo dei problemi come struttura fisica. Facevo molta fatica ad essere brillante in tempi brevi. Andai avanti senza preparatore con la mia poca voglia di lavorare. Una volta avevo la febbre, poi ero stanco… cercavo tutte le scusanti per fare meno. Non era esattamente un comportamento da professionista il mio ma, chissà, forse lavorando con un preparatore mi sarei migliorato ulteriormente”.
Hai qualche ricordo particolare del ‘Presidentissimo’?
“Speso ripeteva la frase ‘Non vendo Sorrentino. Poi dovrei comprare un nuovo portiere pagandolo di più’. Il buon Angelo lo diceva sempre. In sede di rinnovo del contratto, non dimentico quando mi disse, dopo due ore di litigare, ‘basta litigare perchè tanto so che devo farti firmare, automaticamente con il tuo rinnovo la gente sottoscriverà l’abbonamento’. Io lo chiamavo zio Angelo. Venni a Catania per i suoi funerali. C’è sempre stato un rapporto incredibile con lui”.
C’è anche il mancato ritorno al Catania tra i rimpianti di Sorrentino?
“Non è una ripicca verso la dirigenza del Catania, ci tengo a sottolinearlo, però facendo parte dei nominati per lo sviluppo del murale, mi sarei aspettato di tornare in Sicilia per svolgere un ruolo dirigenziale. La gente mi ferma ancora oggi per strada, si ricorda di me dopo 30 anni. C’è l’amarezza di non essere tornato a Catania, però mi gratifica il fatto di essere rimasto l’idolo dei tifosi. Molto probabilmente chi ha diretto la società aveva altre mire. Ho avuto la possibilità di allenare il Catania in C2 quando ero alla guida del Fasano. Ci fu un pour parler e la possibilità di trovare un accordo a fine stagione. Poi si verificò l’incidente di Massimino e tutto finì lì. Qualche anno fa, quando il Catania venne a Vercelli a giocare in B, io vivendo a Torino decisi di seguire la partita. Qualche tifoso rossoazzurro mi notò, da lì sui social network tutti speravano che potessi essere il nuovo allenatore del Catania. Fui invitato dai tifosi etnei anche a Perugia, senza nessuno scopo. Ho seguito queste partite per rivedere giocare il mio Catania a distanza di tempo. Certo, una chiamata me la sarei aspettata dalla dirigenza e speravo che accadesse, non lo nego”.
Chissà, mai dire mai. Quando ti rivedremo in città?
“Io ti farei leggere i messaggi sui social. Non c’è un giorno che i tifosi non mi chiedano quando torno a Catania e di operare, magari, anche come Team Manager. Chissà, ho accumulato tanta esperienza, molto probabilmente questa potrebbe servire a qualche società. Aspetto notizie dai murale. Tornerò di sicuro quando saranno completamente definiti, come potrei non esserci? Fare parte della storia di una società come il Catania è una cosa bellissima. Ogni anno vengo giù per ritirare un premio, significa che la stima è sempre viva. Spesso scendo giù, anche se faccio una toccata e fuga perchè non ho molto tempo a disposizione”.
Quanto è importante per te avere la consapevolezza di essere uno dei più grandi portieri della storia del Catania?
“Il Catania ha avuto portieri come Rado e Vavassori. Essere accostato a loro m’inorgoglisce, ma non sono stato a livello di questi due grandi campioni. Io mi avvicinavo ad essere un portiere vero. Evidentemente ka stima, l’impegno e la serietà sono state apprezzate. Ricordo che ci fu un momento in cui le cose non andarono bene in B. I tifosi ce ne dicevano di tutti i colori, ma per loro io ero il numero uno, sempre. Un giorno esco con la macchina e vidi Ciccio Famoso urlarmi ‘Te ne devi andare!’. Io tra me e me pensavo ‘ma se ho giocato bene, cosa vuole questo?’. In realtà secondo lui sarei dovuto andare via perchè mi riteneva il migliore giocatore della storia del Catania e, per questa ragione, non meritassi di rimanere. Mi abbracciò. Sono cose che fanno piacere. Era una conferma del bene nei miei confronti, conferma di un rapporto speciale con i tifosi”.
Qual è stato il momento più bello dell’esperienza vissuta in rossoazzurro?
“Ricordo quando venni per la prima volta da avversario del Catania col Cagliari. Mi accolsero 5mila persone in aeroporto. L’Assessore allo Sport ed il sindaco si presentarono a mister Ulivieri dicendo ‘Siamo lì per salutare il nostro campione’. C’era tantissima gente ad aspettarmi. Poi ricordo i tanti regali tra dischi, cassette, pupi siciliani, dolci, giocattoli per i bimbi. Questi sono momenti indelebili. Da calciatore del Catania, poi, ho vinto due campionati. Il secondo all’Olimpico in un torneo di B dove figuravano Milan e Lazio, noi vincemmo agli spareggi. Un risultato storico e non ci aspettavamo 40mila catanesi a Roma. Al ritorno a Catania noi volevamo farci trasportare in pullman perchè l’aeroporto era pieno, non si poteva passare. Invece Di Marzio disse che avremmo dovuto onorare l’attaccamento ai colori rossoazzurri della gente che non potette seguirci a Roma. C’era il cordone di polizia. Qualcuno tra i tifosi, nonostante questo, riuscì a passare. Una donna con il vestito da sposa ci teneva a farsi fotografare con me. Se torno a Catania non mi fa pagare nessuno, ristoranti o bar che siano. Dopo 30 anni succedono queste cose. Non c’è niente di più bello”.
Si ringrazia Roberto Sorrentino per la gentile concessione dell’intervista.
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