Il Direttore di TuttoCalcioCatania.com, Livio Giannotta, ha contattato telefonicamente, in ESCLUSIVA, l’ex centrocampista del Catania Salvatore Miceli, molto disponibile ad intervenire durante un aperitivo con amici.
Salvatore, hai avuto modo di seguire il girone C?
“Sì, anche se non lo seguo sempre. Il Catania è una squadra che ambisce a vincere il campionato, ma anche il Lecce è una buona compagine. La Serie C sta stretta, un pò come per il Cosenza. Sono società che meritano ben altre categorie e, purtroppo, militano in C. Catania non è come il Carpi o il Prato in terza serie. Parliamo di una piazza da A. Ci si tira fuori da questa categoria con un Presidente che investa, anche se ultimamente ci sono sempre meno soldi. Soprattutto con l’organizzazione e la programmazione, dotandosi di un ottimo staff”.
Nella passata stagione è tornato a Catania Pietro Lo Monaco per tentare di risollevare le sorti del club. Cosa ne pensi?
“Lo Monaco sicuramente sa il fatto suo. E’ una persona che sa come gestire determinate situazioni, anche se io sono andato via da Catania proprio per lui. Era un pò un padre padrone. Io ho lasciato Catania perchè sono un uomo vero. Ma il proprietario era Pulvirenti, non lui. Organizzazione e programmazione significa che ciascuno agisce con i propri ruoli e le proprie competenze. Lo Monaco è un grande intenditore di calcio, si è fatto da solo, ma con l’imposizione non si ottiene nulla. Con la comunicazione e la collaborazione, invece, è diverso secondo il mio pensiero. Se io t’impongo di lanciarti dal quinto piano, tu non lo fai. I concetti di Lo Monaco sono giusti. E’ il modo in cui li vuole trasmettere che, secondo me, sono sbagliati. Per questa ragione decisi di andare via. Poi Lo Monaco, facendo tesoro degli errori commessi, ha ottenuto risultati ma è un grande dittatore”.
Cosa non è andato per il verso giusto in quei pochi mesi vissuti a Catania nella stagione 2004/05?
“Avevamo in rosa gente del calibro di Firmani, Miceli, Ferrante. Lo Monaco ci ha scelti, mica gli abbiamo puntato la pistola contro. Il mio l’ho fatto sempre onestamente, ovunque. Un giocatore che l’anno precedente ha disputato 36 partite su 39, poi arriva a Catania e ad un tratto non è più buono? Come Vugrinec, Firmani, Ferrante e gli altri. E’ venuta a mancare organizzazione. Succedeva che facevi una scoreggia nello spogliatoio e lo si andava a raccontare. In quel periodo le situazioni venivano gestite da dilettanti. E’ facile lamentarsi dei giocatori quando i risultati non arrivano. Le cose non andavano anche perchè, all’inizio, l’allenatore non era all’altezza. Pensa, non ricordo nemmeno il cognome (Costantini, ndr). Il tecnico di allora era una sorta di pupazzo”.
L’addio al Catania è stata una tua scelta, quindi?
“Avrei potuto benissimo fare il turista ad Acitrezza per tre anni a 250mila euro netti a stagione. Io ho preferito togliere il disturbo, senza dare fastidio a nessuno. Avevo troppo rispetto di Pulvirenti. Potevo andare al Catanzaro in prestito, invece l’ho fatto a titolo definitivo pur di non rivedere più Lo Monaco. Ex compagni di squadra mi consigliarono fortemente di non fare la pazzia di andare a Catanzaro, società fallimentare, invece preferì fare questa cazzata e buttarmi nel fuoco. Quando sono andato via da Catania, piangevo da solo in macchina sulla Catania-Messina. Ero sicuro che Catania fosse la piazza giusta per concludere la carriera. Mi sono asciugato le lacrime una volta salito sul traghetto. Anche se per pochi mesi, Catania mi ha lasciato il segno. Città fantastica, gente incredibile. E’ una Napoli in miniatura, te lo dico io che ho giocato anche nella squadra partenopea. Per me è stato un grande rammarico lasciare Catania. Mi dispiace avere dato poco, non solo per colpe attribuibili a me”.
Ti è capitato di tornare a Catania?
“Non vedo l’ora. Mi è già capitato di tornare, sono venuto a trovare degli amici. C’è gente stupenda, di mentalità superiore al nord. Chi parla male di Catania, non sa vivere. Non è un buongustaio (ride, ndr). Dove trovi una città in cui mangi il panino “arrusti e mangia” sotto gli Archi della Marina?”.
Hai indossato le casacche di Catania e Catanzaro, per chi farai il tifo?
“Sono calabrese ma dico forza Catania tutta la vita, aggiungo che finirà 2-0 in favore dei rossoazzurri. Io sono calabrese ma molto legato al Cosenza, non al Catanzaro. Catanzaro è una piazza un pò particolare, anche se quest’anno possiedono un’organizzazione migliore del passato. In giallorosso ho vissuto la parentesi più negativa della mia carriera. Fallimenti, retrocessioni… un disastro”.
Ti è capitato di seguire specificamente il Catania in questo campionato? Se sì, che idea ti sei fatto?
“Il Catania è una squadra che gioca bene, ma lo fa esprimendosi con alti e bassi. Secondo me deve trovare ancora il giusto equilibrio, ma sono certo che il Catania dirà la sua fino alla fine. Il campionato di Serie C è veramente molto difficile. La capolista può anche perdere con l’ultima della classe. Se non affronti tutte le partite con la giusta concentrazione, fai fatica. Catania e Lecce sono le uniche squadre del girone C che se la giocheranno per il primo posto, anche per storia e blasone”.
Hai conosciuto gli attuali tecnici delle due squadre, Cristiano Lucarelli e Davide Dionigi?
“Con Lucarelli abbiamo giocato insieme quando militavamo tra le fila del Cosenza. E’ un grande amante del calcio, ragazzo molto preparato. Ancora deve acquisire tanta esperienza. Lui sa perfettamente di essere approdato in una piazza di grandissime tradizioni. Sono sicuro che farà quel che è giusto fare. Conosco anche Dionigi, altrettanto preparato”.
Di cosa ti occupi, adesso?
“Mi dedico alla famiglia, gestisco un negozio tecnico specializzato per il running, un mondo in continua evoluzione. Ho il patentino di base per allenare ma se vuoi fare calcio devi sempre andare via dalla terra natia. Qui, però, sto da Dio perchè adoro il sud e sono un uomo del sud”.
“Grazie per avermi dato la possibilità d’intervenire ai vostri microfoni”, conclude l’ex centrocampista rossoazzurro.
Si ringrazia Salvatore Miceli per la gentile concessione dell’intervista.
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