L’intervista risale al 2014, ma è comunque interessante perchè ripercorre tappe significative della carriera di Pietro Lo Monaco, attuale Amministratore Delegato del Catania. Ne riprendiamo alcuni tratti salienti, evidenziati da napolisoccer.net:
“Ho esordito oltre 40 anni fa nell’allora serie C, in un periodo in cui o eri un giovane talentuoso oppure era impossibile che ti facessero esordire. Sembrava che dovessi diventare un grande giocatore, ma come succede in tanti casi, ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire essere un enfant prodige e poi fallire. Ho passato il resto della mia carriera di calciatore a militare tra serie C e D, fallendo i vari obiettivi che erano nelle miei potenzialità. Ho provato sulla mia pelle l’esperienza di avere ambizioni e potenzialità per poi bruciarle. Mi rispecchio in tanti giovani che oggi hanno delle potenzialità, ma che nonostante questo non riescono a calcare palcoscenici importanti. Terminata la carriera di calciatore ho fatto l’allenatore per otto anni, ma anche in questo caso non sono riuscito ad avere risultati importanti. Ho quindi intrapreso la carriera da dirigente, prima come direttore sportivo e poi come direttore generale per poi arrivare all’incarico di amministratore delegato. Non mi sono fatto mancare nulla e credo che un palmares così possono vantarlo pochi nel nostro campionato. Nella mia vita ho provato cosa vuol dire essere giocatore, allenatore e dirigente e questa è stata la mia carriera formativa, espletata in tutte le categorie del nostro calco. Sono riuscito a vincere qualcosa tranne lo scudetto. La mia “longevità” nel mondo del calcio mi ha permesso di vivere da protagonista l’evoluzione del calcio stesso a tutti i livelli”.
“Personalmente ho contribuito in modo decisivo al fenomeno Udinese. Siamo partiti dalla B e siamo arrivati ad ottenere grandi risultati, tra cui un terzo posto in campionato. Ho iniziato con i friulani come osservatore fino a ricoprire l’incarico di direttore dell’area tecnica. L’Udinese è stata la prima squadra ad adattarsi alle conseguenze derivanti dalla “sentenza Bosman” ottenendo ottimi risultati. Guardando dietro a tutte le plusvalenze fatte, mi rendo conto che all’epoca abbiamo fatto un miracolo, con i Pozzo che hanno saputo conservare e mantenere nel tempo questo trend. Penso ai vari Appiah, Jørgensen, Walem e Giannichedda, comprati a costi irrisori o a parametro zero e poi rivenduti a cifre importanti ci si rende conto delle cose importanti che abbiamo fatto”.
“Brescia? Sono arrivato come direttore generale in un ambiente “liquefatto” a causa della retrocessione. Anche a Brescia fu iniziato un lavoro importante culminato con la promozione in serie A dopo due anni invece che i preventivati tre, vincendo meritatamente un campionato difficile. Alla fine di quel campionato, a promozione ottenuta, mi dimisi per divergenze con la dirigenza”.
“Successivamente decisi di abbracciare una causa importante di una squadra di serie C2 e con Antonino Pulvirenti vincemmo il campionato con l’Acireale. Poi rilevammo il Catania ed in circa nove anni ci siamo tolti tante soddisfazioni. Siamo partiti da zero rilevando la squadra in serie B e con tanti debiti, addirittura con strutture fatiscenti e senza calciatori. Con il Catania, sotto certi punti di vista, abbiamo iniziato un percorso simile a quello dell’Udinese. Fenomeni come quelli di Catania e Udine dimostrano che nel calcio si possono ottenere risultati anche con limitate disponibilità economiche”.
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