AMBROSI (Esclusiva): “Catania, devi diventare squadra. Pozzebon ha carattere. Il mio obiettivo valorizzare i giovani”

0
1167
Alessandro Ambrosi

Gradito ospite di Radio Studio Italia, l’ex attaccante del Catania Alessandro Ambrosi interviene telefonicamente rispondendo alle domande di Igor Pagano, in collaborazione con Donato e Livio Giannotta di TuttoCalcioCatania.com.

Occupandoti attivamente di scuola calcio e seguendo in generale il calcio professionistico, hai mai avuto l’occasione di vedere all’opera Demiro Pozzebon? Cosa pensi del suo ingaggio?
“Personalmente non ho mai avuto la possibilità di vederlo in azione. Da quello che sento in giro si parla molto bene di lui, un ragazzo veramente in gamba. E a maggior ragione esordire a Catania realizzando un gol importante è sicuramente sinonimo di carattere. Mi auguro che possa fare bene, anche perché il Catania vive un momento di entusiasmo in cui c’è parecchia voglia di rivincita. C’è anche stato il cambio della guida tecnica e, quindi, quasi un intero girone di ritorno va affrontato con la giusta grinta e determinazione. Chiunque ha la fortuna di arrivare a Catania è obbligato a giocare con questo incipit mentale”.

Come vedi la situazione del Catania in chiave playoff?
“Intanto non è nemmeno da prendere in considerazione l’ipotesi che il Catania non riesca a centrare la zona playoff. Io penso che adesso i calciatori debbano, una buona volta per tutte, acquisire definitivamente la consapevolezza della propria forza e pensare di giocare ogni partita con la volontà di acquisire il maggior numero di punti possibile, tralasciando magari l’aspetto estetico e basandosi sul pragmatismo. Poi, una volta centrati i playoff, dovrebbero essere le altre squadre a provare timore riverenziale già semplicemente pensando di dover venire a giocare a Catania e non viceversa! Però questa idea può essere acquisita solamente quando si assume la consapevolezza di essere diventati a tutti gli effetti una squadra. E in tal senso è il risultato che ti aiuta, anche se questo dovesse giungere attraverso prestazioni non eccelse”.

Abbiamo già avuto modo di ricordare insieme la grande rimonta etnea del 2001. In quell’occasione ci fu un cambio della guida tecnica con l’avvento di Vincenzo Guerini, poi arrivasti tu ed anche altri importanti giocatori che alla lunga si rivelarono determinanti. Per chi si aggrega ad un gruppo in un periodo come gennaio, aiuta trovare un gruppo compatto e coeso pronto ad accoglierti…
“Ricordo che quell’anno venivo dal Crotone in cui avevo fatto molto bene e potevo scegliere diverse destinazioni ma alla fine scelsi Catania per una concomitanza di fattori. Sicuramente la classifica dell’epoca era deficitaria e nel gruppo mancava qualcosa. La squadra era estremamente valida dal punto di vista tecnico e in quella stagione cademmo solo nella parte finale. Poi però l’anno successivo vincemmo un campionato fantastico, mantenendo pressappoco l’ossatura base della stagione precedente. Credo di non aver mai giocato in una squadra forte come il Catania. Ripeto, a volte basta poco per cambiare gli equilibri e far acquisire ai vari componenti del gruppo la piena consapevolezza dei propri mezzi. E nell’anno della promozione furono gli arrivi di alcuni calciatori, incluso me stesso, a portare quella ventata di novità che costituì il propulsivo per credere di riuscire a compiere una impresa di quella portata che in quel frangente ci sfuggì proprio sul più bello. A distanza di 15 anni custodisco ancora quei ricordi e porto ancora dei sassolini che non riesco a togliermi! Mi sarebbe piaciuto andarmi a prendere le mie rivincite a Catania ma questo non è stato possibile, pur essendo stato vicino un paio di volte al ritorno ma alla fine l’operazione non riuscì a concretizzarsi. Purtroppo è andata come è andata e non posso fare altro se non prenderne atto”.

Parlando di Alessandro Ambrosi, qualcosa che ti accomuna a Pozzebon è che entrambi siete partiti dal basso, Serie D/Lega Pro in particolare. Secondo te come mai in Italia un giocatore stenta ad affermarsi a certi livelli se non dopo un lungo periodo di crescita e di gavetta?
“Il mio è stato un caso particolare; io cominciai tardi a giocare a calcio, avevo 24 anni. A differenza di molti altri elementi che partono dal vivaio, non iniziai nei settori giovanili. Fino a 22-23 anni facevo l’animatore nei villaggi turistici! Nello specifico, per quanto riguarda il discorso relativo agli attaccanti, secondo me è tutto riconducibile ai vari settori giovanili dove, purtroppo, i talenti nostrani non vengono preservati come andrebbe fatto. Alberga una mentalità difficile da scardinare, ovvero badare in tutto e per tutto solo al risultato, tralasciando l’aspetto rilevante legato alla crescita graduale e, dunque, il processo di maturazione dei giovani talenti, differente da caso a caso”.

Come vedi questi ragazzi che oggi si accingono ad affacciarsi nel mondo del calcio? E, dato che proprio tu ti occupi in prima persona di curare i giovani alle prime armi, quali elementi inquinano il calcio moderno?
“Il problema dei settori giovanili dipende anche dal fattore serietà che nel calcio nostrano è messo oggi in discussione, a maggior ragione in tempi in cui imperversa la crisi economica che sta attanagliando il nostro Paese. Crisi che tende inevitabilmente a riflettersi su quello che è lo status delle varie società: non a caso, fino ai primi anni 2000 il calcio italiano si trovava ai primi posti dei vari ranking europei e, infatti, i più grossi campioni circolavano proprio nei nostri campionati che, dunque, innalzavano il tasso qualitativo dei rispettivi tornei. Oggi, invece, i grandi nomi preferiscono andare a giocare in Cina piuttosto che in Italia. Da ciò scaturisce un inevitabile livellamento qualitativo verso il basso. Per quanto concerne il discorso prettamente legato al settore giovanile, secondo me le società dovrebbero investire molto di più sui tecnici perché il lavoro di tecnico presso un settore così particolarmente delicato come quello giovanile non dovrebbe venire inteso come una carriera da allenatore vera e propria, avente lo scopo primario di formare e riuscire a valorizzare i ragazzi, lasciando in secondo piano i risultati. Per quanto mi riguarda, se io riuscissi a vincere un campionato primavera diventando campione italiano senza riuscire a fare emergere un talento buono per la Serie A riterrei di avere fallito in pieno il mio scopo. La mentalità predominante è che tanta gente tende ad allenare il settore giovanile con la speranza di riuscire, come passo successivo, ad approdare nelle prime squadre. Secondo me queste carriere dovrebbero venire considerate due rami distinti e separati”.

I tuoi progetti per l’immediato futuro…
“Seguo i settori giovanili per scelta. Possiedo una società a Fiuggi, luogo dove vivo e poi vado spesso in giro, ad esempio attualmente lavoro per il Frosinone. Abbiamo dei comuni progetti, anche a livello personale, all’estero con l’obiettivo di valorizzare i giovani perché reputiamo che sono proprio loro le risorse calcistiche in assoluto più importanti. Inoltre penso che proprio questo rappresenti un aspetto rilevante, perchè vedere un giocatore apprendere gradualmente ed imparare, anche per quel poco che riesci a dargli, ti riempie di soddisfazioni. Sarei felicissimo un giorno di vedere, perché no, un giovane che ho cresciuto io giocare nel massimo campionato italiano”.

Si ringrazia Alessandro Ambrosi per la gentile concessione dell’intervista.

© RIPRODUZIONE DEL TESTO, TOTALE O PARZIALE, CONSENTITA ESCLUSIVAMENTE CITANDO LA FONTE – Qualunque violazione del diritto di copyright sarà perseguita a norma di legge.