CERASA: “Lo Monaco ha riportato continuità. Rispetto professionale ed umano nel gruppo, portiamo in giro i colori di una città prestigiosa”

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Loreto Cerasa
Foto calciocatania.it

Il Calcio Catania realizza un’intervista ufficiale a Loreto Cerasa, dirigente accompagnatore all’opera nel Settore Giovanile rossoazzurro.

Da quanti anni opera nel settore giovanile del Calcio Catania?

“Questo è il mio settimo anno. Mi chiamò il Responsabile del Settore Giovanile Alessandro Failla, insieme al segretario Giorgio Borbone, nel 2009: con quest’ultimo avevo già lavorato a Mascalucia”.

Come giudica l’esperienza maturata fino ad oggi?

“Molto positiva. Ho avuto la fortuna di entrare a far parte del Calcio Catania dopo una lunga esperienza nell’ambiente calcistico cominciata negli anni ’90, partendo dalla base e proseguendo per sei anni nella famiglia del Nicolosi Calcio”.

Il ritorno del Direttore Lo Monaco ha dato nuovo impulso alla vita della società; nell’ambito del Settore Giovanile, quali sono gli effetti immediati?

“Il Direttore ha riportato la continuità che per un certo periodo si era interrotta. Per far crescere i ragazzi il lavoro va fatto in maniera costante, mattone dopo mattone, basandosi sulle certezze, sui punti fermi e sui riferimenti stabili: Pietro Lo Monaco è tutto questo, per il Catania, e si sta prodigando affinché le cose tornino com’erano nel recente e glorioso passato”.

Qual è il suo rapporto con i ragazzi?

“Per loro non sono un allenatore, né un genitore, né un insegnante; cerco di essere un amico ma “distante” allo stesso tempo. È un’età molto particolare, lo è l’adolescenza in generale. Cerco di immedesimarmi, di capirli e seguirli, ma per quanto ci si sforzi, esiste sempre una grande differenza generazionale. I ragazzi sanno che per qualsiasi problema possono contare su di me. I momenti più aggreganti si creano durante le trasferte, per il tempo che si trascorre insieme”.

Quali sono i suoi rapporti con la Società e con il Responsabile del Settore Giovanile Alessandro Failla?

“Ottimi, con tutti. Cerco di essere sempre professionale e bado all’aspetto essenziale, mi danno le direttive ed io le rispetto senza andare oltre, è il mio modo di fare. Alessandro Failla ha grandi capacità tecniche ed organizzative perché riesce a gestire più di cento ragazzi ed una cinquantina di addetti ai lavori; nel nostro gruppo il rispetto professionale ed umano è garantito”.

Come si vede fra dieci anni?

“Credo che in un Settore Giovanile serva un continuo rinnovamento, dal punto di vista dirigenziale: io ho 57 anni, toccherà probabilmente ai giovani capaci di spendere la stessa passione con la quale lavoriamo io ed i miei colleghi. Mi piacerebbe essere ancora nel Catania, certo, ma so che le cose potrebbero cambiare, non per “stanchezza” ma perché i ragazzi hanno bisogno di gente più giovane e mentalmente più vicina a loro”. 

Qual è l’episodio, legato al campo, che ricorda con più piacere?

“La vittoria del torneo “Manchester United Premium Cup” a Pescara, nel 2011, con Paolo Riela in panchina a guidare i Giovanissimi rossazzurri. Arrivammo in finale da outsider, facendo meglio di squadre come Milan, Inter e Juventus in un torneo al quale non si era mai qualificata nessuna squadra da Napoli in giù: quel successo mi diede una gioia che non dimenticherò mai. Nessuno si aspettava che noi potessimo realizzare un’impresa simile. Vi racconto un aneddoto: se avessimo perso in semifinale, non so come e quando saremmo riusciti a tornare a Catania, perché tutti gli aerei erano pieni…La vittoria ci garantì l’accesso al torneo Nike mondiale che si disputò a Manchester, altra esperienza indimenticabile”.

Con quali ragazzi ha mantenuto un rapporto d’amicizia?

“Tutte le volte che incontro qualcuno di loro è festa ma non mantengo contatti continuativi al di la dell’ambito del campo di calcio, sono molto riservato. C’è un rispetto reciproco verso tutti ma finisce lì, se hanno bisogno di me sanno dove trovarmi. Sono il loro punto di riferimento ma non entro nella loro vita perché fa parte del mio carattere, sono fatto così”.

Quali sono le emozioni che prova quando vive gli allenamenti e le gare?

“Gestisco l’emotività tenendomi tutto dentro, senza esternazioni particolari. Le prime volte, quando rientravo a casa, mia moglie mi trovava sfatto, sfinito, perché controllavo troppo le mie sensazioni ed implodevo. Adesso ho imparato ad assorbire meglio le varie situazioni. Ci sono due momenti indimenticabili, che mi hanno commosso e che vorrei ricordare: il primo gol di Di Grazia con la maglia della prima squadra contro il Messina in questa stagione e la salvezza dello scorso anno, ottenuta dal Catania all’ultima di campionato: emozioni fortissime, ingovernabili”.

Un episodio che ritiene possa aver contribuito alla crescita di un ragazzo in un momento importante?

“Non c’è perché non intervengo in questo ambito, mi limito ad informarmi se li vedo giù di morale o pensierosi. Alcuni hanno voglia di aprirsi, altri meno. Non dimenticherò mai quei sessanta minuti circa vissuti a Pisa, nel 2011, che per me ed i ragazzi furono molto emozionanti e didattici: dopo le finali Under 17 di Chianciano, d’accordo con la Società, andammo visitare la Torre e Piazza dei Miracoli. Incontrammo tanti catanesi trapiantati in Toscana che ci fermarono, chiedendoci notizie sulla loro città, Catania, della quale avevano gran nostalgia. Compresi quindi una volta in più, allora, che noi rappresentiamo non soltanto la Società ma portiamo in giro i colori e il nome di un’intera e prestigiosa città: dobbiamo essere fieri ed orgogliosi di questo ruolo. Credo che questo episodio abbia contribuito alla crescita di quei ragazzi che adesso sono diventati uomini”.