ROBERTO RICCA (Esclusiva): “Catania piazza unica per calore e competenza. Tanti aneddoti da svelare…”

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Roberto Ricca

(Autore Donato Giannotta)

Roberto Ricca, che negli anni novanta ha avuto l’onore d’indossare la maglia del Catania, interviene telefonicamente ai microfoni di Radio Studio Italia in collaborazione con Igor Pagano e la redazione di TuttoCalcioCatania.com. L’ex difensore rossoazzurro rilascia una lunga intervista svelando vari aneddoti relativi all’esperienza vissuta alle pendici dell’Etna.

Sicuramente ricorderai il gol messo a segno contro la Juveterranova in trasferta, l’incontro terminò 1-1…
“Ritornando con la mente a quella partita mi ricordo di un campo in una situazione che aveva praticamente dell’assurdo: intanto era tutto in sabbia e con le scarpe ci si affondava dentro, erano presenti delle cisterne dietro le porte appositamente impiegate per innaffiarlo di tanto in tanto e poi la parte frontale delle tribune appariva come una sorta di treno a causa di una costruzione stranissima situata posteriormente ad esse. Tutti elementi a dir poco irripetibili in categorie professionistiche, specialmente nel contesto dei moderni campi in erba sintetica. Alcuni tifosi erano presenti all’interno del rettangolo di gioco ed il gol nacque proprio da un mio tocco, un pò con la testa e un pò con la spalla, che fece assumere al pallone una stranissima traiettoria che ingannò l’estremo difensore avversario. Tra l’altro fu per me una delle gioie più grandi essendo il mio primo gol messo a segno, e non è che certamente sia rinomato in maglia rossoazzurra per gol realizzati! Diciamo che il primo gol non si scorda mai”.

Quali sono i ricordi che custodisci della semifinale playoff in cui il Catania affrontò la Turris al ‘Massimino’ durante la stagione 1996-97?
“Ricordo molto bene l’atmosfera che si respirava sin dai primi giorni dall’avvento della partita. Noi fummo in ritiro per un paio di giorni in un albergo sopra Aci Trezza, che poi era quello in cui ci recavamo sempre in occasione di ogni ritiro pre-partita. Si respirava un’aria di grandissimo entusiasmo e praticamente tutte le sere erano presenti i tifosi in una sorta di processione per darci la carica. Un’altra curiosità, all’epoca disponevamo degli spogliatoi con delle vetrate che davano a quello che noi chiamavamo ‘Cibalino’, ovvero il campo in cui ci allenavamo inserito all’interno dell’impianto che ospita lo stadio ‘Cibali’. E guardando attraverso quelle finestrelle vedevamo la gente che si arrampicava sul muro, perchè avevano ridotto la capienza dello stadio a causa delle ‘Universiadi’ che si sarebbero poi svolte a fine stagione. E vedere quella marea umana fu per noi una sensazione indescrivibile, tra l’altro eravamo caricatissimi e l’idea era di vincere la partita d’andata perché sapevamo che al ritorno si sarebbe rivelata un’ardua impresa. Purtroppo, vuoi per l’emozione e la tensione, non riuscimmo a sbloccare la partita pareggiando a reti inviolate e, successivamente, in quella di ritorno che giocammo nel campo neutro di Avellino per motivi di ordine pubblico perdemmo 1-0. Per noi questo risultato rappresentò un’autentica delusione. Quella fu una gran bella stagione in cui riuscimmo a conseguire ben 11 o 12 risultati utili consecutivi mediante lo sviluppo di un bel gioco. Già a partire da mister Busetta la squadra aveva evidenziato importanti caratteristiche in termini di temperamento. All’epoca erano presenti giocatori di gran classe come Orazio Russo, Tiziano D’Isidoro, Pasquale Marino, Davide Faieta; tutti elementi dal piede vellutato, che sapevano dare del tu al pallone e grazie ai quali si allestì un grande gruppo. Ricordo anche che durante questa serie di risultati noi giocatori facemmo prendere l’influenza a mister Mei perché, scaramanticamente, era sempre vestito con la giacca che praticamente non cambiava mai tutte le domeniche! Comunque questo portò bene. Poi capitò anche di perdere a Catania per 5-1 e anche in questo caso si verificò un episodio che reputo possa avverarsi unicamente a Catania, in altre piazze non credo che si possa vivere una simile passione per il calcio: dopo quella batosta, e precisamente in occasione dell’allenamento del martedì, ci presentammo al campo convintissimi di subire una meritata contestazione ed invece, una volta entrati in pista per effettuare i famigerati 3000 metri che proprio ogni martedì ci dovevamo sorbire, la gente ci applaudì e portò anche i pasticcini a mò di festeggiamento. Questo era per loro un modo di dirci che, dopo aver agganciato i playoff, non significava niente steccare una partita. Quella cocente sconfitta maturò all’interno di una stranissima partita tra l’altro, in cui noi se non sbaglio passammo pure in vantaggio, in una cornice in cui erano presenti tanti nostri tifosi. Anche se a dir la verità non ricordo una sola partita in trasferta giocata senza una muraglia di maglie rossoazzurre ad incitarci. E sotto questo punto di vista la tifoseria catanese è sempre stata stupenda, caliente e direi anche competente sotto il profilo calcistico”.

Invece, cosa non funzionò la stagione successiva nonostante le conferme di mister Giovanni Mei e tanti giocatori della precedente stagione?
“Ricordo che ero in comproprietà con la Juventus ed ero strafelice di rimanere a Catania. Tra l’altro insieme alla proprietà ci recammo a Milano proprio per discutere con i bianconeri il mio passaggio definitivo in Sicilia. Quell’anno eravamo partiti con grande entusiasmo, sulla scia della fantastica annata precedente e tutti quanti credevamo di poter confermare quanto di buono avevamo precedentemente compiuto. Catania tra l’altro rafforzato con nuovi importanti innesti, pensando addirittura di poter diventare l’ammazza-campionato. Probabilmente l’elemento che venne a mancare fu una giusta dose di umiltà che, invece, aveva contraddistinto il primo anno. Per me quella stagione non partì nel migliore dei modi perché durante il ritiro, in occasione delle prime partitelle, ebbi una distorsione e ricordo che all’epoca avevo un melone al posto della caviglia. Poi riuscii a recuperare in tempi rapidi e già all’inizio del campionato ero quasi pronto. Nel mio primo anno, stagione 1996-97, partimmo con la speranza di fare bene, anche con molta più umiltà e voglia di combattere, contrariamente al secondo. Nella seconda annata, inoltre, Cicchetti si fece male quasi subito, proprio lui che era un elemento di carattere e importantissimo all’interno dello spogliatoio. Può darsi che peccammo anche in termini di cattiveria agonistica, oltre che nell’umiltà che ci aveva prima contraddistinto”.

Ci puoi descrivere l’addio al Catania ed al calcio giocato?
“Dopo l’esonero di mister Mei giunse Gagliardi con cui non riuscii mai a legare. Penso che oramai trascorsi 20 anni possano trapelare certi segreti dello spogliatoio: con Mei intercorreva un rapporto di grandissima stima e, soprattutto, ricordo che quando arrivò, con la tifoseria in aperta contestazione nei nostri confronti, riuscì a trasmetterci la giusta calma e la carica necessaria per affrontare le partite. Personalmente lo vedevo un pò come il nostro condottiero ed infatti non riuscii ad accettare il suo allontanamento, anche perché ero assolutamente convinto che non fosse stato lui la causa del periodo negativo. Ho poi capito nel corso degli anni che a pagare in primis è quasi sempre l’allenatore. Non ebbi mai un rapporto facile con mister Gagliardi, ricordo che ebbi con lui una discussione il giorno dopo la partita col Trapani in cui perdemmo malamente: a partire da quel momento iniziò a prendere provvedimenti disciplinari nei miei confronti e poi fu sempre più difficile riuscire a reinserirmi; tra l’altro avevo perso quella stima e fiducia che pian piano ero riuscito a conquistarmi. Alla fine la mia fu una cessione di sicuro a malincuore che però, alla luce degli eventi descritti, accettai di buon grado. Non penso che ci fossero le condizioni per rimanere a Catania, se non altro per una questione di coerenza in quanto il mio rendimento in quella stagione si rivelò altamente al di sotto delle aspettative.
L’addio al calcio giocato da parte mia si concretizzò a 31 anni, ovvero quando mio padre ebbe un problema di salute, fortunatamente risolto. Disputai la mia ultima stagione da calciatore in C2 a Fano e poi decisi di avvicinarmi a Novara in modo tale da rimanere in zona per stare vicino a lui ed anche per proseguire l’attività di famiglia. Poi ho continuato a giocare fino ai 39 anni, sempre a livelli dilettantistici qui in zona e adesso, non soltanto per diletto, alleno a livello giovanile cercando di trasmettere ai ragazzi tutto quello che mi hanno trasmesso i precedenti allenatori, oltre all’amore in sé per il calcio”.

Adesso dove alleni ed in quale categoria?
“Allora, la Prima squadra disputa il campionato di Eccellenza in provincia di Vercelli, si chiama Borgo Vercelli. Io alleno i giovanissimi e, tra l’altro, domenica ho i playoff per accedere alla fase regionale e devo dire di essere strafelice per come si stanno comportando i ragazzi. Una squadra che fino all’anno scorso non esisteva, è stata allestita quest’anno e siamo andati oltre quelli che erano inizialmente gli obiettivi societari”.

Con quali dei tuoi vecchi compagni di squadra sei rimasto in rapporto dopo le tue due stagioni vissute al Catania?
“Rapporti d’amicizia veri e propri, posso dire che un pò con tutti ci siamo persi. Su Facebook mi sento tuttora con Cicchetti e ogni tanto con Fimiani. Vista l’ottima carriera da allenatore in Serie A e B intrapresa da Pasquale Marino, quando viene a giocare con le sue squadre a Novara ci vediamo sempre, lo vado a trovare in ritiro. Anche perché all’epoca abitavamo nella stessa palazzina e l’anno del 1996 lo trascorsi quasi sempre con lui; ricordo che accompagnavamo la figlia a scuola, oltre ad andare insieme all’allenamento. Praticamente posso dire che in quel tempo sono stato quasi adottato dalla sua famiglia!”.

Ringraziamo Roberto Ricca per la cortese disponibilità.

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