Poteva essere un ottimo trampolino di lancio per il Catania, l’inizio vero e proprio del campionato muovendo la classifica. Invece l’Akragas ha sovvertito i pronostici della vigilia addirittura imponendosi allo stadio “Angelo Massimino”. Un colpaccio autentico per la compagine agrigentina. Quando vai alla conclusione in una ventina di circostanze, centri in pieno il palo e costruisci diverse occasioni nitide non puoi non andare a segno. Solitamente, in questi casi, la legge del calcio ti punisce. A volte anche piuttosto severamente, come accaduto domenica sera.
In tale contesto emergono, però, due episodi arbitrali poco chiari: l’ammonizione per simulazione di Andrea Di Grazia che, invece, sembra abbia subito il contatto in area; l’annullamento del gol che sarebbe valso il momentaneo 1-0 di Caetano Calil. Nel primo caso mancherebbe, quindi, un rigore al Catania mentre la posizione dell’attaccante brasiliano era nettamente regolare. Situazioni che hanno penalizzato i rossoazzurri.
Vietato, tuttavia, cercare alibi perché se Paolucci e compagni non sono riusciti a depositare la palla in fondo al sacco, devono emergere delle responsabilità nella squadra. Chiara l’incapacità di finalizzare al meglio l’azione, ma va rimarcato l’impegno e la generosità dei giocatori che hanno attacco ripetutamente nella ripresa, rischiando di concedere qualcosina agli agrigentini pur di provare a vincere il derby.
Sono arrivati tanti cross in area, in fase di possesso palla il Catania ha compiuto progressi gestendo maggiormente il possesso della sfera ma, nel primo tempo, gli etnei hanno avuto obiettivamente poche palle gol. Serve, allora, continuità in termini di prestazione nell’arco dei 90 minuti. Non è la prima volta che l’Elefante giochi un tempo non all’altezza.
Giusto, adesso, ripartire dalle note positive ma anche evitare di ripetere gli errori commessi. In questo senso citiamo pure le sostituzioni poco convincenti del mister, in particolare il cambio di un Di Grazia a tratti devastante che stava facendo venire i sorci verdi alla difesa akragantina. Etnei costretti a leccarsi le ferite e Dea Bendata che, stavolta, a differenza di Matera volta le spalle ai rossoazzurri.